Nel 1370 fu teatro di uno scontro tra l’armata di Giovanni Chiaramonte e del nucleo catalano affiancato dai monaci. Lo scontro causò gravi danni al castello che venne immediatamente riparato. Fu presumibilmente dedicato a San Benedetto e si pensa che originariamente fosse costituito su tre piani. Lo scontrò causò danni alla struttura del castello ma poiché la posizione strategica era importante per la prevenzione dagli attacchi da nord e da sud, fu indispensabile il ripristino delle parti danneggiate.
Nel 1393 venne abitato dal re Martino I e nel 1898 iniziò un restauro generale del Castellaccio ad opera dell’architetto Giuseppe Patricolo. Già noto per aver recuperato molte architetture siciliane, Patricolo si impegnò a riparare le parti meno danneggiate del Castellaccio, per salvarlo definitivamente dall’abbandono, avvenuto presumibilmente nel XVI secolo. In seguito, il Castellaccio divenne un rifugio montano di proprietà della Soprintendenza Beni Culturali e Ambientali di Palermo ed in affido al Club Alpino Siciliano. Per quanto difficilissimo da raggiungere, rimane uno dei luoghi preferiti dagli appassionati di arte, storia e natura. Se siete interessati, provate a chiedere in città se è possibile una visita.
Poco distanti, sorgono i presidi arabo-normanni di Cefalà Diana e di Vicari. Il primo è un ex feudo musulmano su cui il castello, diventato poi sistema difensivo dei Chiaramonte, domina. La sua pianta triangolare abbarbicata a 657 metri a livello del mare, è delimitata da un altissimo muro di cinta di cui sono rimasti solo i resti. Piuttosto visibile, rimane invece l’imponente Torre Mastra con i suoi 20 metri e le merlature; costruita su tre piani. Stesso discorso per la piccola città di Vicari, famosa per i biscotti ‘passavolanti’. Il suo castello si staglia su una rocca a strapiombo, a 700 metri sul livello del mare. Costruito in epoca romana, ristrutturato nel 1390 per volere dei Chiaramonte, veniva usato come base per gli attacchi al castello di Castronovo. Luogo cardine ai tempi della battaglia dei Vespri, utilizzato dunque unicamente come fortezza, conserva ancora oggi i resti della sua cinta muraria, delle cisterne e le due torri; la seconda, denominata Porta Fausa o Bummara, è piena dimostrazione del passaggio degli Arabi.
Autore | Enrica Bartalotta