E’ risaputo che le mamme siciliane hanno a cuore l’alimentazione dei propri figli e “chi pa suvicchiaria” che con la forza) li obbligano a mangiare anche contro la loro volontà se sono convinte che certi alimenti gli facciano bene. Da dove nascano queste certezze non è dato saperlo, sta di fatto che sono in contatto con informatori capaci di rivelargli verità nascoste che hanno scelto proprio loro per trasferirgli tutta la loro conoscenza. Se qualcuno, ad esempio, gli ponesse una domanda su quali alimenti privilegiare per l’alimentazione della propria prole, oppure sulle proprietà di certi cibi, avranno sempre una risposta pronta… Ma che dico una risposta, la risposta, poiché non esistono tante verità ma solo quella custodita nel proprio sapere che, per magnanimità ed amore della divulgazione, metteranno al servizio del mondo intero. Il loro canale d’informazione sono le amiche, le sorelle, le conoscenti, ovvero donne con cui intessono relazioni al supermercato, dal fruttivendolo, dal carnezziere (macellaio) ed anche alla posta.. E così non è inusuale sentire discorsi del tipo:“Signora mia, si so figghiu un vuoli manciari i virduri, lei ava a fari accussì cuomu ci ricu io, lei i frulla nichi nichi, i mpasta i frii cuomu si fussiro polpettine e accussì iddu un sinn’adduna e si mancia pa suvicchiaria. Io chi me figghi fazzu accussì e anzi iddi mi ricinu mamma, ma sunnu tropu buoni…. Io un ciu ricu nienti , iddi sunnu cuntienti e io puru!!! (Signor mia, se suo figlio non vuole mangiare le verdure, lei deve fare così come le dico io, le deve frullare piccole piccole, le impasta e li frigge come se fossero delle polpettine e così lui non se ne accorge e li mangia con la forza. Io con i miei figli faccio così e anzi loro mi dicono, mamma, ma sono troppo buoni… Io non gli dico niente, loro sono contenti ed io pure).
E non è neppure inconsueto che a seguito di una richiesta di ragguagli sulla fonte “scientifica” delle loro affermazioni se ne escano fuori tirando in ballo argomentazioni che non depongono sicuramente a favore della veridicità di quelle dichiarazioni. Da cronache di vita vissuta, ecco un esempio:
– La mia amica mi ha detto che bere quattro litri di acqua al giorno depura l’organismo e aiuta ad espellere le tossine!!!
– Mamma, ma sei sicura che occorra berne quattro litri??? Sinceramente mi sembrano un po’ troppi e poi così rischio di svegliarmi in continuazione durante la notte per fare la pipì…
– Niente ci fa, ti metti il vasino vicino e il problema è risolto.
– Ma scusa, la tua amica che mestiere fa?
– Lei accompagna gli anziani alle gite ed è proprio da loro che l’ha saputo… Quelli, essendo vecchietti, hanno tanta esperienza!
Oppure fantasticherie del tipo che occorre mangiare la frutta prima dei pasti perché così non fermenta nello stomaco e si digerisce meglio…
– Ascolta tua madre, prova a mangiare una banana e un’arancia prima della carne e poi mi dici.
Mamma, ma chi te l’ha detta sta fesseria?
– Ma di che fesseria parli!!! Me l’ha detto la moglie del portiere a cui lo ha detto una sua amica che lavora in uno studio medico in cui è andata una signora che aveva problemi di allergie alimentari e che ha risolto grazie ad una paziente con cui ha parlato mentre era seduta in sala d’attesa e che le ha consigliato di fare così… (sì, hai letto bene, il discorso è fatto tutto d’un fiato).
– Risposta del figlio: Mamma, a parte ca mi facisti cunfunniri (a parte che mi hai fatto confondere) sei sicura che sia vero quello che dici tu e che ti hanno detto?
– Risposta della mamma: Certo, non sai quante informazioni utili si imparano nelle sale d’attesa degli studi medici!!!
Mia mamma, con il pretesto di queste false notizie spacciate per vere, sin da bambini torturava me e mia sorella costringendoci a mangiare cose che ancora oggi, se ci penso, mi fanno rabbrividire. Un esempio? Negli anni ottanta era in voga la moda che l’uovo crudo facesse bene… Oggi i salutisti storcerebbero il naso dicendo che è potenzialmente veicolo di trasmissione della salmonella tanto che la maggior parte delle ricette prevedono la loro pastorizzazione per diminuirne i potenziali rischi. Siccome per l’appunto si era diffusa questa assurda credenza, mia madre ci costringeva al pomeriggio a berlo come se dovessimo sorseggiare una tazza di the aromatizzato al limone. Sì, proprio così, lei prendeva l’uovo, batteva con un cucchiaino la sua estremità in modo da tirare via la parte superiore del guscio, gli spremeva dentro il limone e poi ci rincorreva per casa perché noi nel frattempo scappavamo a gambe levate. Questa scena si ripeteva ogni santo pomeriggio. All’ennesima nostra rimostranza nel rifiutare quell’oscenità, utilizzava la tecnica dell’anestesia delle papille olfattive che consisteva nel tapparci le narici per poi, con fare deciso, scaraventare il contenuto dell’uovo dentro la nostra gola il quale veniva poi deglutito senza masticazione. La cosa che poi mi faceva più impressione era l’idea che l’uovo avesse generato un pulcino, tornandomi in mente la filastrocca che avevo imparato a memoria all’asilo per distinguere i giorni della settimana:
Lunedì chiusin chiusino
Martedì bucò l’ovino
Sgusciò fuori mercoledì
“Pio, pio” fece di giovedì
Venerdì fu un bel pulcino
Beccò sabato un granino
La domenica mattina
Aveva già la sua crestina
Le sue convinzioni tuttavia non si fermavano qui, perché tra gli altri supplizi a cui eravamo sottoposti c’era anche quello del fegato fritto che lei spacciava per cotoletta di bovino. Ma io e mia sorella, che stupidi non eravamo, sgamavamo subito quel tranello per via del sapore molto forte, del colore rosso scuro e per la consistenza un po’ molliccia… per non parlare poi del suo terribile odore! Il risultato? Tenevo il boccone un po’ nella guancia destra e un po’ in quella sinistra nell’attesa che lei si distraesse per buttarlo via, oppure che, mossa a pietà, si convincesse nel darci qualcosa di più sfizioso come dei sofficini, delle patatine fritte oppure la pressataina di carne, quella con la chiavetta in metallo utilizzata per la sua apertura, che spesso lei tagliava a fette, poi la passava nell’uovo battuto, nel pangrattato ed infine la friggeva in abbondante olio caldo.
Stesso discorso valeva per la carne di cavallo e delle sue mille proprietà decantate come se fosse la più abile delle venditrici.
Ma in tutto questo discorso, dove si collocano le sarde oggetto della ricetta di oggi? Le sarde allinguate sono un tipico piatto siciliano che prevede che il pesce venga aperto a libro, lasciato macerare nell’aceto e poi fritto. Il termine “allinguate” farebbe pensare alla lingua, forma che assume la sarda dopo la sua preparazione. In realtà l’origine del nome risale all’epoca del dominio degli Spagnoli in Sicilia e ad un’imitazione low cost dei piatti dei ricchi. Il nome allinguato richiama il termine spagnolo “lenguado”, che significa sogliola, ovvero il nome del pesce prelibato mangiato dai nobili spagnoli. Il popolo, non potendosi permettere di acquistare del pesce fresco, si accontentava di comprare quello ormai vecchio che oltre a costare poco aveva anche un odore ed un sapore molto forte. Da qui l’idea di aggiungere l’aceto che evitava probabili intossicazioni fungendo anche da antibatterico. Al giorno d’oggi si è soliti preparare questo piatto con sarde freschissime che però, per tradizione, vengono ugualmente lasciate macerare nell’aceto.
Nel caso delle sarde, la scenetta più divertente era la seguente:
– Mammaaaaaaaaaaaaaaaaa, (la chiamavo con fare imperante dalla stanza opposta rispetto a dove si trovava lei)
– Che c’è??? (Risposta secca che presagiva una replica non proprio in linea con le mie aspettative)
– Che si mangia oggi???
– Sarde allinguate!
– Ma per forza, lo sai che non mi piacciono!
– Sì, per forza… Erano fresche ed era un peccato non comprarle
– Mamma, ma scusa, per non peccare tu deve rimetterci tutta la famiglia?
– Ma che c’entra, fanno bene e poi sono ricche di omega 3
– Omega 3??? E chi mi rapprisientanu??? (e cosa sarebbero???)
– Chi sacciu (che ne so), so che è una cosa che fa bene perché me lo ha detto la mia parrucchiera che a sua volta glielo ha detto il pescivendolo, quello che ha il furgoncino vicino allo studio del nostro dottore… Stando sempre vicino ai medici, la notizia mi pare attendibile!!!
– E io non ne voglio!
– E allura un manci e resti riunu (e allora non mangi e rimani a digiuno)
– Mamma, questo è un ricatto!
– No, questo significa ca finu a quannu stai nta sta casa fai chiddu ca ti ricu io (fino a quando stai in questa casa fai quello che ti dico io).
– Ah, ok, allora non è un ricatto, mi correggo, è dittatura!
E concludo questo racconto dicendo che crescendo mi sono ricreduto sulle sarde, che oggi le cucino spesso e che mi piacciono anche tanto. Su un paio di cose però non ho cambiato le mie idee, sul fegato e sulla carne di cavallo
Difficoltà
Medio
Difficoltà
Media
Dosi Per
4 Persone
Preparazione
1 Ora
Cottura
5 Minuti
Lista ingredienti
Sarde non troppo grandi q.b.
Aceto di vino bianco
Farina 00
Limone
Olio di semi di girasole
Sale
Procedimento
1
Laviamo le sarde sotto l’acqua corrente, eliminiamo la testa, tagliamole perpendicolarmente lungo la pancia eliminando le interiora, la lisca e le spine facendo attenzione a non tagliare la coda. Infine eliminiamo anche la pinna sul dorso.
2
Disponiamole su di un piatto coprendole completamente con dell’aceto di vino bianco per mezz’ora. A questo punto asciughiamole con della carta assorbente, passiamole nella farina pressandole per bene in modo che ne assorbano quanto più possibile e sbattiamole leggermente per eliminare quella in eccesso.
3
Friggiamole nell’olio di semi di girasole caldo per qualche minuto, fino a quando non avranno assunto una colorazione dorata. Saliamole e serviamole con del limone spremuto.
Utile da sapere!
Se le sarde sono troppo fresche sarà più difficile eliminare la lisca con facilità per cui il consiglio è quello di consumarle il giorno successivo.
Foto e ricetta di Patrizio Zannelli
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