Leonardo Vitale, chi era il primo collaboratore di giustizia. Biografia: dove è nato, cosa ha fatto, quali legami aveva con Cosa nostra. Il pentimento, dove e come è morto. Cosa ha rivelato.
Nato a Palermo il 27 giugno del 1941, Leonardo Vitale è stato un mafioso e un collaboratore di giustizia. Fratello di Michele, Vito e Giusy Vitale, muore a Palermo, il 2 dicembre del 1984. Dopo Melchiorre Allegra, ritenuto un “proto-pentito“, è considerato il primo collaboratore di giustizia della storia. “Il mio crimine è stato quello di essere nato e cresciuto in una famiglia di tradizioni mafiose, e di aver vissuto in una società dove tutti sono mafiosi e per questo rispettati, mentre quelli che non lo sono vengono disprezzati”, ha detto.
Nel 1960, quando aveva 19 anni, venne affiliato alla cosca mafiosa di Altarello di Baida, guidata dallo zio Giovanbattista. Come prova “di ammissione”, gli sarebbe stata imposta l’uccisione di un mafioso rivale. In seguito, avrebbe compiuto intimidazioni e danneggiamenti ai danni di imprese edili, a scopo di estorsione. Nel 1972 Leonardo Vitale venne arrestato, poiché sospettato di essere implicato nel sequestro del costruttore Luciano Cassina. Venne rilasciato dopo una settimana di isolamento nel carcere dell’Asinara.
Nella giornata del 29 marzo del 1973, Vitale si presentò alla questura di Palermo. Lo accompagnarono nell’ufficio di Bruno Contrada, che allora ricopriva il ruolo di commissario della squadra mobile. A lui dichiarò che stava attraversando una crisi religiosa e che voleva cominciare una nuova vita.
Si autoaccusò di due omicidi e un tentato omicidio, nonché di estorsione e altri reati minori. Accusò anche i responsabili del sequestro Cassina e fece i nomi di Totò Riina e altri mafiosi, collegandoli, in riferimento a precise circostanze. Rivelò per primo l’esistenza di una “Commissione“, descrivendo anche il rito di iniziazione a Cosa nostra e l’organizzazione di una famiglia mafiosa.
Con le sue dichiarazioni, che lo portarono ad essere considerato il primo pentito della storia, condusse all’arresto di diversi mafiosi. Lui stesso finì in carcere. Sottoposto a diverse perizie psichiatriche, venne dichiarato seminfermo di mente e affetto da schizofrenia. Venne rinchiuso nel manicomio criminale di Barcellona Pozzo di Gotto, in provincia di Messina.
Nel 1977 Vitale finì a processo, insieme allo zio e altri uomini delle borgate palermitane. Gli imputati vennero assolti per insufficienza di prove, tranne Leonardo Vitale e lo zio, che ricevette una pena per omicidio e associazione a delinquere. La pena di venticinque anni di carcere di Vitale invece venne commutata in detenzione nel manicomio criminale di Barcellona Pozzo di Gotto, di cui però scontò soltanto sette anni.
Dopo essere stato dimesso dal manicomio nel 1984, venne raggiunto dal Tg2 per un’intervista. In quell’occasione, Leonardo Vitale disse, profeticamente: “So che mi ammazzeranno“. Morì il 2 dicembre del 1984, ucciso con due colpi di lupara alla testa sparati da un uomo non identificato che lo raggiunse all’uscita dalla chiesa dei Cappuccini di Palermo mentre era in compagnia della madre.
La testata PalermoToday racconta così la sua morte:
Vitale, il primo pentito di mafia, viene messo a tacere per sempre dai corleonesi che mandano così un segnale a chi ha voltato le spalle a Cosa nostra. Vitale è stato l’esempio del mafioso che “canta”, rischiando la vita senza essere creduto, per poi infatti rimanere isolato e finire ammazzato. Cinquant’anni dopo il suo esempio è diventato storia. Come il pensiero che a Vitale ha dedicato Giovanni Falcone durante il maxiprocesso: “A differenza della Giustizia dello Stato, la mafia percepì l’importanza delle sue rivelazioni e lo punì inesorabilmente per aver violato la legge dell’omertà. E’ augurabile che, almeno dopo morto, Vitale trovi il credito che meritava e che merita”.