Edizioni Arianna
Gesualdo Bufalino diceva: “Tante Sicilie, perché? Perché la Sicilia ha avuto la sorte di ritrovarsi a far da cerniera nei secoli fra la grande cultura occidentale e le tentazioni del deserto e del sole, tra la ragione e la magia, le temperie del sentimento e le canicole della passione. Soffre, la Sicilia, di un eccesso d’identità, né so se sia un bene o sia un male.” In questo eccesso di identità la Sicilia ha costituito la sua vera natura, dalla continua risemantizzazione di se stessa, anno dopo anno, secolo dopo secolo, ne è emersa diversa, rinnovata. Ma cos’è la Sicilia? Non un lembo di terra come qualunque altro ma un gigante, spesso dai piedi di argilla, a cui come si evince dalle parole di Marinella, bisogna protendere spogliandosi di se stessi con predisposizione alla bellezza. La Sicilia diviene così un percorso, un viaggio, un’isola iniziatica, la “chiave di tutto”, come la definirà Goethe, un mezzo attraverso il quale l’uomo trascende se stesso, esplora il circostante per poi ricongiungersi con la sua corporalità rinnovato. “Viaggio in Sicilia” non si presenta dunque come ulteriore esempio di letteratura odeporica, reportage di viaggio o diaristico, ma come esperienza mistica e sacrale, un omaggio poetico ai personaggi nostrani e stranieri che hanno contribuito a creare l’identità attuale della nostra Sicilia. Una storia di visioni e ombre irradiate da una fiamma talvolta flebile, talvolta travolgente, in ogni caso capace di ispirare anche gli animi più marmorei. L’elusività ad ogni tipo di definizione è probabilmente congenita alla storia del Mediterraneo nel suo complesso poiché esso rappresenta il luogo per antonomasia in cui mithos – narrazione che supera i limiti della ragione e del possibile e logos – discorso razionale scandito dalle azioni umane- si fondano in una matassa difficile da sbrogliare. La terra in cui la mistificazione epica omerica incontra la demistificazione verghiana, in cui Polifemo scaglia i suoi massi in attesa delle tragedie dei Malavoglia, in cui il sangue di Aci, assassinato da un gigante con un solo occhio, si fonde con il sangue di Peppino Impastato, assassinato dalla cecità mafiosa. Un percorso senza un inizio ben preciso e senza una fine, poiché citando Levi Strauss: “I miti non hanno un autore, ma sono espressione di una realtà morale e religiosa, generata da un anonimo fondatore collettivo, pertanto di origine sovrannaturale”. Miti portavoce d’un tempo pre-adamitico, prima che la parola tempo venisse pronunciata dall’uomo, poiché il mito nasce dal silenzio del maestoso: il punto esatto nella storia in cui il maestoso si fa verbo. Marinella restituisce così al terreno nostrano il suo sapore mitologico, vivificando la realtà attraverso le illusioni antiche in un’eco quasi leopardiano.
Cosa si evince e cosa colpisce maggiormente di “Viaggio in Sicilia” di Marinella Fiume e Piero Romano?
Innanzitutto il tentativo, attraverso la collaborazione di Piero Romano che ha curato l’adattamento musicale dei versi di Marinella, di restituire alla poesia le sue origini in cui il verso incontrava il canto e viceversa, in un’eco quasi dimenticato, costituendo così un continuum in cui il lettore\ascoltatore viene proiettato in una dimensione extra-testuale e multi-percettiva. Note, quelle di Piero Romano, dal candore talvolta aspro, talvolta travolgente e malinconico che esprimono le contraddizioni d’una terra letta, riletta, scritta ed eletta.
Una musica espressione d’una scrittura in cui tempo e spazio perdono la loro dimensione reale, interiorizzandosi, in cui la linearità muta in circolarità, in cui alle “lacrime delle cose” verghiane si sostituisce la meraviglia delle cose nostrane, in cui la luna che irradia gli agrumeti e le alghe arse in riva al mare, l’Etna che si erge solitaria, ed il Mare Nostrum, adorato e temuto, divengono simboli d’un ineludibile percorso mistico in cui l’occhio umano supera la sua dimensione prettamente visiva fondendosi con una enigmaticità incomunicabile. Nabokov diceva: “A me i risvolti pratici non interessano” e Puskin in merito alla luna: “Da simbolo di sacralità l’abbiamo mutata in rimpiazzo dei lampioni”. La poesia e la prosa di Marinella hanno restituito alla nostra terra quella sacralità dimenticata, attraverso quei tratti popolari che l’hanno contraddistinta nei secoli, non come mera espressione folkloristica, ma come espressione sociale d’una più intima ed istintiva fusione con il circostante. L’omaggio e la rivisitazione dell’arte popolare, attraverso i suoi canti e la sua ritualità gestuale, ci restituiscono quindi la nostra “sicilianità” perduta di un tempo che fu. Il volume di Marinella non appare però ritratto narcisistico della propria terra, ma si fa portavoce della sua più autentica natura, contrapponendo ad una sezione dedicata ad alcuni dei miti fondanti, una sezione interamente dedicata ai suoi anti-miti: realtà che squarcia la mistificazione sacrale. Fenomeni che hanno contraddistinto la nostra Sicilia, creando delle cicatrici che bruciano ancora, persino all’ombra. La mafia, fenomeno destinato ad estinguersi secondo Falcone, ma che permane nella nostra quotidianità quale realtà subdola e silenziosa, e l’immigrazione, fenomeno apparentemente nuovo, ma in realtà millenario, in quanto la storia dell’uomo è per sua natura storia di migrazioni, ciò che muta è soltanto il comportamento di fronte al fenomeno; chi populisticamente lo respinge demonizzandolo, chi cerca soluzioni analizzandolo storicamente e socialmente. Marinella lo indaga più umanamente con dei versi dedicati ad Aylan, piccolo siriano di tre anni.
La Sicilia che emerge dalle pagine di “Viaggio in Sicilia” appare come una terra sincretica, una terra in cui la meraviglia e il dolore si scambiano vicendevolmente come parti fondanti d’una più grande identità in continua trasformazione.
Roberto La Rocca