Il nostro viaggio alla ricerca delle tradizioni siciliane ci porta oggi a Trapani e dintorni, per parlare di un piatto tipico e degli strumenti utilizzati per prepararlo. Quando si pensa alla tradizionale cucina trapanese, non si può fare a meno di visualizzare l’immagine di un ricco piatto di cous cous (o cùscusu). La semola viene “incocciata” e, con sapienza e pazienza diventa una pietanza strepitosa. Le origini di questo piatto ci portano in Africa e ai viaggi per mare dei nostri pescatori.
Per fare un couscous ad arte, bisogna avere gli strumenti giusti. Tra questi, uno dei più famosi è la mafaradda siciliana. Si tratta di un antico piatto, basso e largo, con le pareti svasate. Lo si trova solitamente di terracotta, ma poteva essere anche di legno. Qui dentro si versano la farina di semola e l’acqua, per iniziare il tradizionale processo dell’incocciatura (incocciare sta per “aggregare”). Con le mani si lavorano i due ingredienti. Vanno tenute ben aperte e con il palmo sollevato. Facendo movimenti circolari, sempre nella stessa direzione, si ottengono palline grandi quanto capocchie di spilli. È proprio quella la base del cuscusu.
Le palline così ottenute, si versano in un piatto fondo di vimini, in modo che si separino le une dalle altre. Si lasciano asciugare, quindi vengono lavorate di nuovo, in modo fa passare attraverso setacci di diverse dimensioni. Diversa è la couscossiera, costituita da due parti: una superiore e una inferiore. Quella più alta ha dei fori, mentre in quella bassa si versano abbondante olio d’oliva, aglio e peperoncino. Tenendo il fuoco vivo, si fa rosolare tutto e si aggiunge il brodo (di carne o di pesce). La semola siciliana, rispetto a quella africana, è più grossa, per la tipologia delle macine dei mulini locali. La semola lavorata si lascia riposare nei classici lemmi di terracotta.