Il 14 marzo 1891, un terribile rastrellamento macchiò le strade di New Orleans, negli Stati Uniti, di sangue siciliano. Era appena stata abolita la schiavitù e sulle banchine dei principali porti americani, si riversavano migliaia di immigrati provenienti da tutta Europa; irlandesi, francesi, ma anche creoli, caraibici, e naturalmente molti italiani. Giovani e meno giovani, famiglie, individui affamati ma pieni di volontà e di speranza, disposti a lavorare presso i campi di cotone lasciati sgombri dagli afroamericani.
A quell’epoca, New Orleans era una delle città più note del ‘melting pot’ americano, una mescolanza di culture e provenienze che non furono risparmiate dalle iniziative delle famiglie malavitose del tempo.
Ai lati del porto, i due nuclei mafiosi più importanti della città, si contendevano il commercio degli attracchi: i Matranga capitanati da Joseph Macheca e i Provenzano, successori degli Esposito.
Nell’aprile dell’anno prima, un agguato compiuto dai Provenzano ai danni dei Matranga, portò alla fine della tregua e preparò il terreno per il massacro del 1891. Due uomini dei Matranga persero la vita, ma fu Macheca a essere condannato e arrestato, a seguito della testimonianza del giovane sceriffo David C. Hennessey, che era amico personale dei Provenzano.
Nella notte del 15 ottobre, di rientro da un banchetto offerto dai Provenzano in suo onore, Hennessey venne accolto in un vicolo e lì massacrato a fucilate da due uomini. Hennessey rispose al fuoco ma non ci fu più molto da fare; poco prima di morire indicò gli immigrati italiani (i ‘dagos’, nello slang dell’epoca) come i responsabili del suo omicidio. Fu la scintilla che accese la miccia della polveriera che era New Orleans: undici siciliani finirono tra i diciannove imputati nel processo per l’omicidio Hennessey. Tra essi il boss della famiglia Matranga, il latitante Bastiano Incardona, ma anche gente del popolo, gente onesta, Pietro Monasterio, calzolaio, la cui bottega s’affacciava proprio sul luogo dell’agguato, e Antonio Marchesi e Antonio Abbagnato, fruttivendoli che avevano avuto la sfortuna di possedere un esercizio nella zona preferita dai Matranga per i loro traffici.
Ci vollero dieci giorni e ottocento audizioni prima che il tribunale di New Orleans formasse la giuria, che alla fine emise un verdetto d’assoluzione per otto degli undici. Le poche prove a sostegno non erano sufficienti a una condanna, così gli undici vennero tenuti in stato di fermo fino a nuove evidenze, più concrete, che li potessero colpevolizzare. Ma il verdetto non piacque al popolo di New Orleans che, aizzato dal nuovo sceriffo Gabriel Villère, si diede appuntamento in tremila, si presume ventimila con fucili, pistole e bastoni, presso la Parish Prison, per farsi giustizia da sé.
La prigione venne presa d´assalto, sventrate le entrate principali: le guardie non poterono nulla contro un popolo infuriato che inseguì gli undici lungo le strade della città: fucilandoli, oppure impiccandogli agli alberi. Fu un massacro in piena regola, un vero e proprio linciaggio da cui solo Matranga e Incardona ne uscirono vivi. Un fatto atroce, una pagina strappata alla Storia d’Italia e una vergogna per la parola ‘integrazione’, tanto cara agli Stati Uniti.
La strage di innocenti fece cadere il gelo tra la Potenza Mondiale d’Oltreoceano e il nostro Paese. Per diversi lunghi anni, una lunga e complessa crisi internazionale caratterizzò i rapporti tra le due Nazioni, ma i processi ai rivoltosi si chiusero senza neppure un colpevole. Con la sola elargizione di un magro indennizzo, che portò la popolazione americana ad un’aspra critica del suo Capo di Stato, Benjamin Harrison, l’Italia va così a dimenticare un’altra nera, pagina della sua Storia.
Autore | Enrica Bartalotta