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A pochi chilometri da Sciacca e Palermo, sorge un piccolo ma noto centro dell’entroterra occidentale siciliano: Bisacquino. Trenta anni fa Bisacquino era infatti conosciuto per la lavorazione dei coltelli, ed era pieno di botteghe-putie, botteghe cioè che lavoravano le corna degli animali per creare manici di coltelli. L’origine araba del nome Bisacquino infatti, significa “padre dei coltelli”.

Strumento antichissimo, presumibilmente tra i più antichi al mondo, di questo utensile realizzato per il taglio ricordiamo innanzitutto l’etimologia; coltello deriva dal latino cultellus, diminutivo di culter, ovvero coltello dell’aratro.
I coltelli si distinguono più per il tipo di lama: quella normale o a temperino serve essenzialmente per affettare, impugnatura ricurva e alto bordo piatto ne consentono un’ottima presa. Anche il coltello a lama ricurva serve ad affettare; grazie alla sua architettura che digrada in una lama più larga e in un coltello più leggero, è l’utensile perfetto per lo scuoiatore. I coltelli a doppio taglio o daga sono da definirsi armi a tutti gli effetti; una volta infatti, questa lavorazione veniva utilizzata per il combattimento. Erano coltelli a daga il pugnale, la spada o la baionetta perché potevano tagliare in entrambe le direzioni fendenti.

Il coltello è ritenuto uno dei primi attrezzi progettati dall’essere umano per la sopravvivenza, ecco infatti perché i primi ritrovati erano in pietra lavica o sedimentaria come la selce e l’ossidiana. Con l’arrivo dell’Era Metallurgica, fecero capolino i primi coltelli in rame, bronzo, ferro e acciaio, fino alle lame di oggi, ad uso particolare, in materiale ceramico. Col passare dei secoli, anche i materiali utilizzati per realizzare i manici, sono cambiati. Si è partiti da una totale assenza di manico, al legno più o meno intarsiato, fino ad arrivare a quelli in osso o corna di animale come capra e montone, ad oggi ancora tipici dei coltelli artigianali personalizzati. Altri manici particolari che caratterizzavano soprattutto i più moderni coltelli a serramanico, sono stati costituiti in maiolica, madreperla e giada, fino ad arrivare all’acciaio, di uso più comune, e alla plastica.

In Sicilia esistono ben diciotto diversi tipi di coltelli artigianali, alcuni dei quali sono visitabili al museo civico di Bisacquino: come il coltello a “cozzo di monaco”, il coltello a punta “pizzuta” , e il coltello a “runchitta”, che veniva utilizzato dai cacciatori per recidere i rovi. Dalla seconda metà del XVII secolo, in diverse regioni d’Italia, nascono scuole per la disciplina della scherma di daga, le cui più importanti in Sicilia sono quella palermitana e catanese.

Un buon coltellinaio, era innanzitutto un buon fabbro, doveva cioè essere in grado di padroneggiare appieno la lavorazione del coltello in tutte le sue fasi. Doveva saper dunque lavorare appropriatamente la lama, ma anche conoscere le diverse tecniche di lavorazione dei manici.
Anticamente, la materia prima per i coltelli in corno, veniva fornita dai macellai locali in cambio della molatura dei propri coltelli. Per prima cosa però, si sceglieva la barretta d’acciaio con cui si formava la struttura: la coda, cioè la parte in cui si sarebbe andati, successivamente ad inserire il manico e infine la lama. Il primo passo era quello della forgiatura: si batteva cioè la lama incandescente sull’incudine per darle la forma voluta. Una volta eseguita quest’operazione si metteva il manufatto fra i carboni di legna, per poterlo limare con più facilità. A questo punto si forava il manico, precedentemente lavorato, all’incirca con la stessa tecnica della lama: si tagliava il corno in più parti e lo si immergeva nella fornace, si eliminava la superficie bruciacchiata e lo si inseriva in una morsa; infine lo si raffreddava nella posizione voluta e gli si adattava la coda per controllare posizione e dimensioni. Il secondo passaggio è quello della tempra, la fase in cui cioè la lama veniva immersa rapidamente in acqua o olio per renderla dura; un passaggio che la rendeva però dunque anche fragile. Per evitarne la rottura, si scaldava nuovamente ad una temperatura più bassa, la si rendeva bianca strofinandola con la pietra pomice per darle le ultime caratteristiche, e la si rispegneva in acqua. Dopodiché si passava alla lavorazione del manico; si rinfuocava la coda, la si infilava nel manico, e si raddrizzava la lama, che poi veniva affilata sulla mola e lucidata.

Il coltellinaio era dunque un mestiere soprattutto di buona manualità ed esperienza; in media, per realizzare un piccolo coltello a mano, si impiegavano circa tre ore e ogni pezzo era unico, non tanto per i lavori o gli intarsi che venivano effettuati sul manico, (le casate più importanti si facevano anche intarsiare gli stemmi), perché erano legati ad ordinazioni particolari e a coltelli che sicuramente non volevano essere di uso comune, ma perché ogni artigiano aveva la sua mano, quindi ogni stabilimento era in grado di rilasciare su ogni coltello, tramite differenze nella manifattura, un vero e proprio marchio personale di fabbrica.

Autore | Enrica Bartalotta

Foto – Coltelli artistici siciliani di Antonino Versaci

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