Quanti modi di dire siciliani conoscete? Oggi vogliamo mettere alla prova la vostra conoscenza delle tradizioni della Sicilia, proponendovi un lungo e corposo elenco di detti: siamo sicuri del fatto che alcuni vi suoneranno nuovi, mentre altri vi saranno ben noti.
A ti viu e un ti viu (Trad: a ti vedo e non ti vedo, per qualcosa che appare e scompare, che si intravede soltanto. Atteggiamento defilato) |
Un mi tuccari chi mi lassu (Detto per qualcosa che è in bilico, ma anche più riferito a persona debole fisicamente o caratterialmente) |
A trasi e nesci (Trad: ad entra ed esce; dicesi di discorso fra il dire e il non dire) |
A spìzzica e muddica (Trad: a pizzichi e mollica – azione esasperatamente lenta) |
A pocu cchiù ammancu (Pressappoco) |
Tutt’è bbonu e binirittu (Trad: tutto è buono e benedetto, augurio tipico siciliano) |
Supra pàpuli, canfugghia (Di male in peggio, dalla padella alla brace) |
Fàrisi u giummu comu li Turchi (Non capire assolutamente i motivi di una situazione) |
Purtari chiummu (Trad: portare piombo, significa portare sfortuna) |
Fari a vutata du sceccu (Trad: fare la curva dell’asino, significa fare una curva molto larga invadendo l’altra corsia di marcia) |
Orva di l’occhi! (Letteralmente: cieca. Sta per “che io possa accecare” se non dico il vero) |
O bozzu o chiaia (Trad: o bernoccolo o piaga. Scelta senza speranza) |
Mi sbiddìanu l’occhi (Mi brillano gli occhi per la felicità) |
Ascippa e chianta (Togli e metti, per persona che ripete sempre la stessa cosa) |
Va trova stu lestu! (Vai a raccapezzarti) |
Càriri a pìritu (Cascare a fagiolo) |
Scinni di puppa e acchiana di prua (Come dire esce dalla porta e entra dalla finestra. Di chi sa abilmente destreggiarsi) |
Èssiri scaccia serpi chi natichi (Per persona che compie azioni poco simpatiche di nascosto, con indifferenza, dissimulandole elegantemente) |
Èssiri muzzica e un pari (Lett: essere un “mordi e non sembra” cioè uno che è bravo a non farsi scoprire, un pò come scaccia serpi chi natichi) |
Abbonebbonè morsi riccu! (Chi si contenta gode, ma anche chi risparmia in eccesso rischia di non godere delle proprie cose che andranno vanificate alla sua morte) |
Acqua davanti e ventu darrè (Trad: Acqua davanti e vento dietro, sarcastico invito a chi infastidisce e si desidera far andare via – a volte accompagnato da “E sapuni sutta i scarpi” – e sapone sotto le scarpe, in modo da farlo scivolar via più velocemente) |
Èssiri friscu e tènnaro (Essere fresco e tenero. Fregarsene di tutto e di tutti) |
Chioviri a zuppaviddanu (Si dice della pioggia sottile, fine e insistente che bagna i terreni in profondità e anche… il contadino) |
Essiri comu u scarvacchiu ‘na stuppa (Detto per una persona che non riesce ad uscire da una brutta situazione pur impegnandosi molto) |
Fìcimu trenta? E facemu trentunu! (Abbiamo fatto trenta? facciamo trentuno! – Abbiamo rischiato tanto inutilmente? Tanto vale rischiare fino all’ultimo) |
Aviri di cènniri e munnari (Non sapere cosa fare prima – apprestarsi ad affrontare impegni difficili) |
Comu ci chiovi ci scìddica (Trad: come gli piove gli scivola, detto per persona indifferente ad ogni avversità – anche di persona sfortunata) |
U curnutu o sò paisi, u fissa unni va va (Cornuto al suo paese, fesso dovunque va, per una persona che si fa sempre riconoscere) |
Mamma, Ciccu mi tocca! Tòccami Ciccu! Chi a mamma un c’è! (Detto di persona che compie qualcosa con complicità e poi denuncia il complice per giustificarsi, la donna non è così santa come sembra) |
A maravigghia appigghia (Ciò che ti meraviglia può anche capitare a te) |
Vanni pisa e Lorenzu abbannìa (Lett: Giovanni pesa e Lorenzo urla, sta per persone inconcludenti che fanno in coppia quanto potrebbero fare più convenientemente per conto proprio. Sta anche per persone che si perdono inutilmente in chiacchiere) |
Unn’è muru pi Alcamo (Trad: non è muro per Alcamo, significa “non è cosa possibile”) |
U porcu sempri jànnari si sonna (Il maiale sogna sempre ghiande. Per qualcuno che dice e fa sempre le stesse, inutili cose. Per chi non riesce ad uscire dalla propria routine quotidiana) |
Unn’è santu chi sura (Lett: non è santo che suda. Qualcuno che cerca sempre una nuova scusa per non farti un favore. Avaro) |
Cu scinni scinni, cu acchiana acchiana, sunnu tutti testa di milingiana (Chi scende scende, chi sale sale, son tutti teste di melenzana. Usato in periodo elettorale, sta ad indicare la propria insoddisfazione nei riguardi dei candidati) |
Utannu a Culummara, addiu casalicchiara! (Oltrepassando la Colombaia, addio gente di Casalicchio, donna amata, famiglia. La Colombaia è un isolotto all’imbocco del porto di Trapani, Casalicchio un antico quartiere della stessa città. Concretamente, indica che allontanandosi ci si scorda dei propri doveri. Anche: luntanu di l’occhi luntanu du cori) |
Senza duluri soi, ascippa moli (Senza soffrire egli stesso, strappa denti) |
Tuttu ccà mi luci a fera (Posseggo solo questa cosa di valore, è l’unica cosa bella che ho, è la cosa in cui ripongo tutto il mio orgoglio) |
Fimmini, fulmini, ricittaculu di li puci e nimici di la paci (Donne, fulmini, ricettacolo delle pulci e nemiche della pace, forse alludendo al carattere particolare delle donne) |
Di iornu unn’i vogghiu e di sira spardu l’ogghiu (Di giorno non ne voglio e di sera consumo olio, lavorare quando è meno opportuno. Anche nella versione “U jornu scogghiu scogghiu e a sira spardu l’ogghiu”) |
Merda ‘nfacci a cu lava linzola (Merda in faccia a chi lava le lenzuola, i meriti molto spesso non sono riconosciuti) |
U cielu l’ittau e a terra l’apparau! (Detto per persona imperturbabile che non reagisce) |
N’un mìriri e sbìriri (In un attimo) |
U carvuni s’un tingi mascarìa (Il carbone se non colora sporca, come il lupo perde il pelo ma non il vizio) |
Beatu ddu ‘nfamatu chi è nettu e ‘mmaculatu (Beato l’infame purché senza peccato) |
Unni c’è campani c’è buttani (Senza commento!) |
Cu zappa vivi acqua e cu futti vivi vinu (Chi zappa beve acqua e chi fotte beve vino, si usa per descrivere una discriminazione, cioè ad esempio quando qualcuno che lavora meno guadagna di più) |
Vacchi vannu e vacchi vennu (Per indicare la stabilità della situazione) |
Essiri cu la testa rintra a sacchina (Stare con la testa nel sacco come i cavalli, indica il non pensare ad altro che al cibo) |
Fari comu u cani sutta a seggia (Fare come il cane sotto la sedia, per indicare qualcuno che non collabora) |
Mmurdi bonu e va cantannu (Serra bene le corde e vai cantando, chi fa bene una cosa dopo può stare tranquillo) |
Capiri minchi pi lanterni (Versione siciliana di scambiare lucciole per lanterne) |
Piglia latinu! (Nel nisseno si usa per dire “Vai dritto!”) |
Aviri lu cucci di la littra (Sta per avere studiato) |
Aju opi e mi l’accattu (Lett: ho vope e me le compro, quando uno vuole sempre più di un qualcosa) |
Essiri di lumpa (Essere cretino, da “Lumpa”, durante la seconda guerra mondiale, plotone di mercenari che controllavano i cittadini. Assoldati dal regime fascista, erano molto spesso gente sempliciotta, a volte anche stupida) |
Essiri tuttu chiacchiari e tabbacchère di lignu (Detto per persona che parla molto ma non conclude niente) |
Vidirisìlla i lastricu (Si indica la possibilità di essere testimone di un fatto, più o meno importante, senza essere direttamente coinvolti o comunque senza subirne le conseguenze. Pare che l’origine sia legata alla possibilità di osservare le frequenti liti che scoppiavano nei quartieri popolari dalle terrazze dei palazzi, lastricate di mattonelle di ceramica (dal greco ostrakòn), e quindi di potersele godere dall’alto, senza esserne coinvolti direttamente) |
Isti, vinisti e chi zuorbi facisti? (Sei andato, sei tornato e che cosa hai combinato?) |
Sciàtere è matri, e vogghiu diri! Oppure Sciàtira mmàtira(praticamente intraducibile in italiano, utilizzato soprattutto come esclamazione davanti ad un fatto, un evento che appare incredibile e che, pure, si è realmente verificato. L’origine, come già detto, è oscura, ma sembra che una bellissima principessa araba, di nome Shater (o simile), fosse vittima della terribile gelosia del padre che la teneva chiusa nelle sue stanze, guardata a vista affinchè non avesse contatti con nessun esponente del sesso maschile, e ciò nonostante, pare abbia, ad un certo punto, partorito un bel bambino. Un’altra ipotesi sull’origine è una radice araba, poichè una espressione simile si trova anche nell’isola di Malta e significa “Che prodigio si vede!”) |
‘U puci avi ‘a tussi! (La pulce ha la tosse. Il detto viene utilizzato per stroncare ironicamente il contraddittorio dialettico di qualcuno che si ritiene non conti nulla, cioè il cui dire, appunto, fa lo stesso rumore (certamente inudibile) che farebbe una pulce con la sua tosse) |
Pigghiari a via di l’acitu (Lett. “Prendere la via dell’aceto” , cominciare a guastarsi, specie per qualcuno che peggiora nel suo comportamento) |
I cosi longhi addiventanu serpi (Lett. “Le cose lunghe diventano serpi”, significato chiaro) |
Unu comu u culu (Durante un discorso, per indicare una cosa unica) |
Essiri a “patri mi spunta!” (lett. essere a “padre, mi spunta!” significa essere solamente all’inizio oppure molto indietro per un lavoro da svolgere. In maniera figurata, il riferimento è all’adolescente che, riferendosi alla prima peluria sul viso, dice appunto “padre, mi spunta (la barba)!”, metafora dell’essere ancora all’inizio di un qualcosa) |
Annarisinni (o irisinni) a’ cappeddara (andarsene senza salutare) |
Tu si precisu? Sì, come u raloggiu ra ‘Mmaculata! (L’orologio della chiesa dell’Immacolata (Ortigia, Siracusa), non ha mai funzionato e allora a chi si vantava di sentirsi una persona precisa e puntuale, si ribatteva con questo detto, prettamente siracusano) |
U sceccu i porta e u sceccu s’i mangia! (L’asino li porta e l’asino se li mangia. Si dice quando qualcuno porta qualcosa (può essere, ad esempio ma non necessariamente, una pietanza che si porta a casa di amici) e poi si finisce per mangiarla o usarla egli stesso) |
Spassu di strata e triulu di casa (Allegro fuori e piagnucolone a casa: dicesi di persona che è contento solo fuori casa e con i familiari non fa altro che compiangersi) |
Tri pila avi u porcu, u porcu avi tri pila (3 peli ha il porco,il porco ha 3 peli, quando la situazione, o la discussione, non si evolve e rimane sempre la stessa) |
A Turri Ignì carìo n’ovu e a Maronna morsi n’omu (A Torre di Ligny è caduto un uovo e alla [Chiesa della] Madonna è morto un uomo. Il passaparola tra le persone spesso stravolge ciò che è successo. Vengono presi come punti di riferimento Torre di Ligny e la Chiesa della Madonna perchè sono punti distanti l’uno dall’altra, nella città di Trapani) |
O unci o svunci cacciarato a Lonci sempri a gghiri! (è inutile che ti arrabbi, se si deve fare una cosa va fatta, trae origine dal nome di un carcere nei pressi di Messina) |
Carìu pampina! (Modo di dire per indicare la situazione di un bambino che cade, cade come una foglia) |
U pilu sinn’iu a terravecchia e s’u manciau a vecchia (Lett. il pelo se n’è andato a Terravecchia e se l’è mangiato la vecchia, filastrocca usata ad Augusta, nel siracusano, dai bambini per sugellare definitivamente lo scambio di giocattoli, Terravecchia era il quartiere più lontano della città) |
Zeru e bbazzeru un cantaro è 25 (Se zero è uguale a zero, un cantaro (antica unità di misura dell’olio) è 25 Kg) |
Va èccate! (Vai a buttarti! Per dire: “Sei un buono a nulla!”) |
Essiri ‘pa priessa (Essere per la pressa, dispregiativo, si usa nel palermitano) |
Turiddu, cumanna a chiddu! (Lett. Salvatore, comanda a quello! La situazione dello scaricabarile) |
Finìu comu a festa da Santuzza, si vippiru u vinu e arruzzularu i vuttazza (Lett. è andata a finire come la festa della Santuzza (Maria Bambina 8 settembre), quando si bevvero il vino e lasciarono cadere le botti, si usa per dire che un fatto è stato inconcludente) |
Essiri muzzicatu d’i lapuna (Essere morso dai calabroni, si dice di chi è suscettibile) |
Niscìu u quarararu! (è uscito colui che aggiusta le pentole! Si dice quando qualcuno che non esce mai lo fa e gli accade qualcosa di male) |
Spara a cu visti e ‘nzetti a cu non visti (Pensi di colpire un bersaglio voluto e invece ne colpisci un altro) |
U cravunchiu supra a vaddara (Come papuli canfugghia, il foruncolo sopra l’ernia, di male in peggio) |
Aviri la cammisa cacata (Lett. “Avere la camicia sporca di cacca”. Modo di dire che indica qualcuno che ha la coscienza sporca, un po’ come dire “avere la coda di paglia”, che nasce dal un racconto di un tale che, in mancanza di adatti mezzi, dopo aver espletato i suoi bisogni, si pulì con la camicia) |
Chiama l’orvu pi m’aiutari, rapi l’occhi e mi fa scantari (Chiama il ceco per aiutarmi apre gli occhi e mi fa spaventare. Significato: quando chiami qualcuno per un aiuto e invece dell’aiuto ti dà ancora più complicazioni) |
Quannu chiove semmo in chiazza, quannu ‘un chive sta minchia nura (Detto popolare) |
Mòviti ddocu! (Stai fermo lì, che è il contrario di quello che si potrebbe pensare, dato che letteralmente significa “Muoviti lì!”, oppure anche “Mòviti fermu!”) |
Zuccaro e cannadda fanno a vucca biadda |
Puru Rosetta voli jucari a zicchinetta (Anche Rosetta vuole giocare a Zecchinetta, gioco di carte riservato agli uomini. Si usa per indicare le donne che vogliono fare la parte dell’uomo) |
U carcaciuato sutta e a carcaciota supra (Il tripode sotto e la pentola sopra) |
Cu nun cridi ‘a ma dùlia nun è figghiu di Maria (Chi non crede al mio dolore non è figlio di Maria, si narra fosse un’espressione utilizzata dalla Madonna nei confronti di chi non credeva al suo dolore) |
Pistari l’acqua ‘nu murtaru (Pestare l’acqua nel mortaio, perdere tempo) |
Lavari u culu ai porci (Lavare il culo ai porci, come sopra) |
Va caca o scuru! (Offensivo: vai a cacare al buio) |
Attacca u sceccu unni voli u patruni (Attacca l’asino dove vuole il padrone, significa fai quello che ti viene ordinato) |
Spacca e lassa (Spacca e lascia, di una persona che a parole dice di saper e poter fare di tutto, ma alla prova dei fatti si sottrae e fugge. Es: Chistu è uno di chiddi spacca e lassa) |
Si vitti u cori! (Si è visto il cuore! Può essere sia un’espressione di ringraziamento per un’azione tentata ma non riuscita del tutto, (es.: “nenti,si visti u cori”.. come a dire: “non fa niente,grazie lo stesso”). Oppure può essere un’espressione di disappunto per un’azione attesa ma non eseguita per scarsa volontà (esemp. “bonu ah! si visti u cori! come a dire: “va bè va, se aspetto a te sto fresco!) |
Lu patruni di lu sceccu è lu ‘ncritatu (è facile identificare nel gruppo chi ha subito il danno) |
Agneddu e sucu e finiu u vattiu (è un modo per indicare che le feste religiose,come il battesimo, sono mirate in modo principale al banchetto che lo segue (agnello e sugo) |
La campagna du zu Mattè (La campagna dello zio Matteo, frutta e ortaggi raccolti in “ignota” campagna) |
Inchiappa e stuia (Come ascippa e chianta, inconcludente) |
Riri, riri, chi a mia mi ririnu (Ridi, ridi, che a me ridono, sottinteso le scarpe o i cogl….) |
Cummari e cummareddi si cuntanu cosi beddi (Le comari fra loro si raccontano belle cose, cioè non dicono male l’una dell’altra) |
Trasi e lassa fora i scarpi! (Entra e lascia fuori le scarpe, non portare a casa cose sporche, anche pettegolezzi) |
Tantu va a quartara all’acqua fino a quanno nun si rumpi (Rischiando continuamente prima o poi si va nei guai) |
I jurnate s’allongano di santa Lucia a Natale quanto un passo di cane, di Natale all’anno novo quanto un passo d’omo (Dal giorno di Santa Lucia al giorno di Natale si nota un minimo allungamento della luce diurna, un pò di più da Natale al nuovo anno) |
Và a cacàri e lavati u cùlu a mari (Vai a defecare e lavati il sedere a mare, mandare a quel paese con tutto il cuore) |
Essiri a paredda supra u foco e i pisci a mari (Lett. essere padella sul fuoco e pesci a mare, fare progetti senza fondamento) |
Chìsta è ‘a casùzza di là Grancia ‘ccù un travàgghia nu’mància (Questa è la casetta della Grancia (nome proprio); chi non lavora non mangia. Comprensibile) |
Urvica morti e spusa ziti (Seppellisce morti e celebra matrimoni, dovrebbe essere il prete, ma in senso metaforico chi è presente in ogni occasione) |
Batti pettu e caca riàvuli (Letteralmente: batte il petto e caca diavoli, detto per indicare chi ipocritamente si reca in chiesa, ma, imperterrito, compie del male) |
Ti manciasti lu sceccu e ti cunfunni pi la cura (Ti sei mangiato l’asino e ti stai confondendo per la coda. Si usa generalmente in riferimento alla parte finale di un lavoro spesso difficile da concludere) |
Vai circannu scecchi morti pi livarici i ferri (Cerchi asini morti per toglier loro i ferri. Sono quelle classiche persone che cercano guai) |
Nun mi cuntari li tri jorna du fistinu (Non raccontarmi i 3 giorni del festino, ovvero: non mi raccontare frottole o cose che già conosco!) |
Iri ri cassaru e cassaru (Premessa: il “cassaro” è una strada dritta senza alcuna curva o piegatura. Il detto significa quindi andare dritto per le proprie idee e la propria strada senza sotterfugi, dubbi o incertezze) |
Biati l’occhi chi vìttiru Pasqua (Si diceva un tempo, beati coloro che sono arrivati vivi e felicemente alla nuova Pasqua) |
L’ultima vara ‘i Sannuminicu (Il detto si riferisce al fatto che durante la processione del festino, nel XVIII sec., l’ultima vara , in ordine gerarchico o storico tra i fercoli era quella con la statua di San Domenico. La cosa era tanto risaputa che si tradusse in proverbio, riferita ad una persona che non giunge mai ed al suo apparire si esce in esclamazione ! |
U stissu c’iu rissi ‘u cabbunaru (Tutto è uguale lo dice solamente il carbonaio. Per costui un pezzo di carbone vale l’altro. Questa frase viene usata quando si vuole sottolineare una differenza tra situazioni, persone o cose in contrapposizione a chi vuole appiattire banalizzare o omologare) |
Cu nappi nappi de’ cassateddi i Pasqua (Il tempo di bengodi è purtroppo terminato, non tutti hanno avuto, solo i più fortunati hanno usufruito dell’abbondanza) |
C’è fudda e mala vinnita (C’è folla e si vende male. Riferita a una situazione in genere di confusione la quale non permette di concentrarsi bene sul da farsi proprio per la numerosità di persone presenti) |
A squagghiata ra muddura (Quando la rugiada si scioglie, quindi all’alba. Si usa per intendere di aver fatto molto tardi) |
O ti cachi ‘o ti pisci a ffari u Cristu ‘ncruci finu ca annivisci (Il detto vuole dire che qualunque cosa un uomo stia facendo deve portarla a termine anche se si presentano imprevisti. Si narra che questo detto è nato durante una Via Crucis vivente, quando, all’attore che immedesimava la parte di Gesù, durante la crocifissione gli sia venuto un attacco di diarrea e il centurione, sotto voce, gli disse le parole del precedente detto citato) |
L’unghiu un si voli scippari da carni (L’unghia non si vuole strappare dalla carne, il distacco dalle persone care è duro) |
Essiri u lazzu cu strummalu (Essere il laccio e la trottola, indica due persone inseparabili) |
Allargati du batteddu chi a virnici è frisca! (Allontanati dal battello che la vernice è fresca. Non toccare!) |
Si l’occhiu un mi travia viu un cuinnutu mmezzu a via! (Se l’occhio non mi inganna vedo un cornuto per la strada. Detto per offendere una persona dicendogli cornuto) |
Un occhiu a Cristu e l’autru a San Giuvanni Battista (Una persona che cerca di tenere d’occhio due cose contemporaneamente) |
Agghiorna e scura e su bintiquattruri (Sorge il sole e tramonta, e sono passate 24 ore) |
Arripigghiati ca inculu a pigghi (Riprenditi che tanto ti deprimerai nuovamente) |
Io un chianciu u figghiu chi peddi, ma u patri ca si vuoli arripigghiari (Io non piango il figlio che perde ma il padre che si vuole rifare. Dicasi di una persona dispiaciuta per un’altra che perde, ma ancor più dispiaciuta per una persona che pur perdendo continua a rischiare perché crede di potersi rifare) |
Stari a ranucchiuni (Un gruppetto di persone) |
A pecura avi a nasciri e u ficatu l’arrustemu! (La pecora deve ancora nascere e già abbiamo arrostito il fegato. Non si fanno le cose prima del giusto tempo) |