Il Duomo di San Giorgio in Modica viene spesso indicato come monumento simbolo del Barocco siciliano della provincia di Ragusa, Bene Patrimonio dell'Umanità dal 2002.
La Matrice è il risultato finale della ricostruzione Seicentesca e Settecentesca, della chiesa, precedentemente esistente, dedicata all’omonimo santo, e completata solo nell’Ottocento, a seguito dei diversi terremoti che danneggiarono l’area e rallentarono i lavori, tra la prima metà del Cinquecento e la fine del Seicento. Il primo documento ufficiale che ne attestava la presenza già nel 1150, è una bolla pontificia emanata da Papa Eugenio III, con la quale dichiarava la Ecclesia S. Giorgi de Mohac e la consorella di S. Giovanni Evangelista, tutela del Monastero di Mileto, in Calabria. Verosimilmente, la sua prima edificazione sarebbe stata voluta dal Conte Ruggero d'Altavilla in persona, intorno al 1090. San Giorgio fu eretta a Collegiata, con bolla di Urbano VIII del 6 novembre 1630.
Dopo i due terremoti che colpirono la zona di Modica, e da ultimo quello del Val di Noto che scosse l’intera Isola (venne registrato al 7,4 della Scala Richter), la chiesa venne ricostruita sull’impianto seicentesco dell'architetto Frate Marcello da Palermo.
Il complesso è incastonato in una scenografia che ricorda Trinità dei Monti: con il giardino pensile di Orto del Piombo ad accogliere la monumentale scalinata che forma l’ingresso.
La facciata a torre, che si eleva per un'altezza di 62 metri, fu costruita a partire dal 1702, ma completata solo nel 1842, (probabilmente anche tramite parziali demolizioni della facciata settecentesca), a opera di diversi maestri del Barocco siciliano, come ad esempio Rosario Gagliardi e Francesco Paolo Làbisi, per il II e III ordine. Quest’ultimo, in particolare, pare si fosse ispirato alla coeva Cattedrale di Dresda, progettata dall'italiano Gaetano Chiaveri. I lavori del Duomo di Modica si conclusero con Carmelo Cultraro, al quale venne affidato il coronamento del III ordine tramite la costruzione di una guglia.
Fanno parte del caratteristico impianto, la cupola di 36 metri, e la scenografica scalinata di 164 gradini, disegnata nella parte sopra strada dal gesuita Francesco Di Marco e completata nel 1818, e nella parte sotto il Corso San Giorgio, dall'architetto Alessandro Cappellani Judica, che la fece completare nel 1880.
I cinque portali del tempio, fungono da preludio alle cinque navate interne, sostenute da 22 colonne sormontate da capitelli corinzi, disposte su pianta basilicale a croce latina, con tre absidi dopo il transetto. All’interno del maestoso edificio, si possono ammirare un organo ancora funzionante composto da 4 tastiere, 80 registri e 3.000 canne, costruito tra il 1885 e il 1888 dal bergamasco Casimiro Allieri; un dipinto di scuola toscana del tardo-manierista fiorentino Filippo Paladini, “La Natività” del pittore milanese Carlo Cane (1615-1688), la tela secentesca che raffigura il Martirio di Sant'Ippolito, altro Santo a cui il Templio è dedicato, una statua marmorea di scuola gaginiana, e sull'altare in fondo a una delle due navate di destra, l'Arca Santa, ovvero la ‘Santa Cassa’, in argento intarsiato, opera del XIV secolo realizzata a Venezia e donata alla Chiesa dai Conti di Chiaramonte.
Il pavimento dinanzi l'altare maggiore, ospita la meridiana disegnata nel 1895 dal matematico Armando Perini; il raggio di sole, che entra dal foro dello gnomone posto in alto a destra, segna sulla meridiana il mezzogiorno locale. All'estremo sinistro, una lapide racchiude le coordinate geografiche della chiesa, e dunque della città di Modica.
Il polittico posto nel fondo della parete absidale dietro l'altare maggiore, è opera del Bernardino Nigro. Composto da ben 10 tavole dipinte, si credette, fino agli anni Settanta, che fosse stato prodotto dal messinese Girolamo Alibrandi (noto come ‘il Raffaello di Sicilia’), nel 1513. Le tavole, raffiguranti le scene della Sacra Famiglia e della vita di Gesù, sono accompagnate inoltre da 2 riquadri con le classiche iconografie dei due Santi Cavalieri: San Giorgio che sconfigge il Drago, e San Martino. L’opera è incastonata nella tribuna intarsiata e indorata da Giovanni Resalibra da Messina, cognato dell’Alibrandi.
A credere far che fosse stato il Nigro (1538-1590) o Niger (non è certa la sua nascita a Modica), l’autore del polittico, era la data riportata in un piccolo riquadro bianco posto sotto la pancia del cavallo. Decisivo tuttavia per l'attribuzione, fu il professor Librando nel 1980, nel cui saggio venne riportata una "Canzone" del pittore siracusano Girolamo Gomes, contemporaneo del Nigro, intitolata: in maniera eloquente "Canzuni di Gilormu Comes in laudi di Binnardinu Lu Nigru Pitturi, che iendu à Modica a pinciri un San Giorgi, ed' un San Martinu…". Per concludere, è recentissima la scoperta, presso un volume notarile dell'Archivio di Stato di Modica, del contratto che incarica il Nigro della realizzazione dell'opera, in data 26 settembre 1566.
Autore | Enrica Bartalotta