I depositi del Museo Salinas di Palermo restituiscono una testa mummificata egizia. Si tratta di un reperto donato nel 1870 dall’abate Antonio Pietro Paternostro, direttore spirituale dell’Istituto Vittorio Emanuele II, che lo aveva acquisito nel corso di alcune peregrinazioni in Africa.
Adesso quel reperto ha rivelato il suo mistero. La testa appartiene a una donna fra 20 e 50 anni di età, vissuta nel periodo greco-romano: è ciò che ha accertato uno studio affidato all’antropologo siciliano Dario Piombino-Mascali, ricercatore capo dell’Università di Vilnius (Lituania), docente di Paleoantropologia alla Scuola di specializzazione in Beni archeologici dell’Università del Salento e curatore delle Catacombe dei Cappuccini di Palermo.
Il reperto ritroverà molto presto uno ruolo di primo piano, come confermato dalla direttrice del Museo Salinas, Caterina Greco: “La riscoperta dei resti di una mummia nei nostri depositi rivela come le ricche collezioni storiche offrano di continuo nuovi importanti spunti di ricerca e di conoscenza del patrimonio culturale esposto al pubblico. Insieme ad altri materiali di origine egiziana, la mummia andrà infatti ad arricchire il nuovo allestimento della pietra di Palermo, che costituirà un importante capitolo del percorso espositivo del museo”.
Lo studio sulla mummia, ha aggiunto l’assessore regionale ai Beni culturali Francesco Scarpinato, “non solo ha permesso di verificare l’autenticità dei resti, attribuendoli alla civiltà egizia, ma ha anche consentito di individuare l’età e il sesso della persona a cui la testa è appartenuta, i materiali utilizzati e il periodo in cui venne mummificata”.
Al momento del ritrovamento, nel 2022, il teschio appariva parzialmente scheletrizzato e ricoperto da tessuti molli e bendaggi impregnati di resina. Attraverso questi e altri elementi, Dario Piombino-Mascali ha ricostruito il trattamento del reperto “compatibile con i trattamenti imbalsamatori tipici della cultura egizia” e ha identificato alcuni degli ingredienti usati per l’imbalsamazione della donna.
Il reperto venne donato nel 1870 dall’abate Antonio Pietro Paternostro, direttore spirituale dell’Istituto Vittorio Emanuele II. Paternostro, a sua volta, lo acquisì durante le sue peregrinazioni in Africa. Il dono non deve stupire, soprattutto se inquadrato in tempi in cui la Sicilia pre e immediatamente post-unitaria era fortemente affascinata dalle antiche civiltà del Nilo.
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