Le origini musicali della Sicilia sembrano difatti derivare innanzitutto dalla musicalità ellenica. Dal momento che la melodia spazia dall’acutissimo al grave, e le differenti variazioni, che caratterizzano le singole aree geografiche, sembrano rimanere inglobate negli intervalli inferiori al semitono, si può dire che possano quasi andare a riprendere quelle delle ‘chroai’, composizioni melodiche caratterizzate da tipiche intervallazioni e sfumature della voce, che nell’Antica Grecia venivano utilizzate per commemorare i defunti; allo stesso modo, le gamme siciliane sembrano prendere spunto da quelle saracene, ricche di altrettante intervallazioni e caratterizzate oltretutto da particolari modalità d’intonazione della voce, di tipo più teso e aspro. Simili alle chroai, sono le manifestazioni musicali che vengono approntate per il ‘presepe vivente’ di Cianciana, in provincia di Agrigento, o quelle che caratterizzano i lamenti che arricchiscono e scandiscono il racconto della Passione di Cristo di Agira.
Allo stesso modo, uno dei principali strumenti dell’Isola, il ‘mariòlu’, marranzanu o ngannalarruni (lo scacciapensieri), sembra rassomigliare particolarmente alla lyra, strumento importato dai Greci, che si presume avesse origini nell’Asia Minore. Non a caso la sua presenza è di tipo globale: lo scacciapensieri non si scorge infatti solo in Sicilia, ma anche in Calabria e Sardegna; inoltre, esemplari in bambù noti con il nome di ‘kumbing’, sono stati avvistati anche nelle Filippine. Lo scacciapensieri è anche noto e particolarmente usato in una delle quattro provincie del Pakistan, in Turchia, e nella zona del Tibet.
Soprattutto per via delle sue dimensioni, e delle virtù terapeutiche attribuite al suono che da esso scaturisce, il marranzanu viene spesso abbinato alla tarantella.
Con il tempo, la lyra divenne uno strumento d’estasi e celebrativo, che in abbinamento alla cetra e al liuto venne utilizzata anche dai Romani, e poi per tutto il Medioevo, per allietare i commensali convenuti alle corti d’Europa, o per accompagnare i racconti dei cantastorie: ambulanti veri e propri dediti alle narrazioni delle epopee cavalleresche della chansòn de Roland, e veri e propri ciechi (‘orbi’), specializzati nel canto di orazioni religiose, più provinciali e nomadi.
La prima raccolta di canti siciliani si fa risalire al 1882, un’antologia di 50 opere ricercate e trascritte da Francesco Paolo Frontini, compositore e direttore d'orchestra catanese; ma le cosiddette canzoni della Scuola Siciliana e poi quelle successive, di Dante e Petrarca, presero proprio spunto dai tipici componimenti provenzali raccontati in musica. Da queste composizioni, si formerà poi la canzone pindarica cinquecentesca, nonché quella più moderna del Leopardi, denominata ‘libera’.
Il friscaletto o zufolo, altro strumento tipico della musica folcloristica di Sicilia, pare abbia origini antiche di tipo pastorale; la zampogna ad esempio, è ritenuta fin dall’Antichità, naturale derivazione del flauto del dio Pan. Zampogne ad ance doppie si suonano ancora presso Siracusa, Agrigento e Palermo, mentre a Catania e Messina vengono utilizzate soprattutto le ciaramelle, ad ancia semplice; a Monreale si trova l’unica zampogna ‘a chiave’ di Sicilia, presidio dei componimenti devozionali delle novene di Natale. Oltre al tamburello e alla chitarra battente, anche la quartara fa parte degli strumenti di musica folclorica di Sicilia; era originariamente un’oncia in terracotta, che veniva utilizzata per la conservazione e il trasporto di acqua e vino, e che viene utilizzata ancora oggi solo come strumento a fiato.
Il Novecento siciliano assistette così alla formazione di diversi gruppi musicali, i primi di musica folclorica a essere istituiti su suolo italiano, primi fra tutti il gruppo dei “Canterini Etnei” di Catania, nato nel 1929, seguirono a ruota il Coro delle Egadi, nel 1935, e nello stesso anno, i “Canterini Peloritani” di Messina. Rappresentanti di rilievo della musica folclorica siciliana, sono stati Rosa Balistreri, Orazio Strano e Ciccio Busacca, ai quali affiancare esponenti più recenti come Matilde Politi, Alfio Antico, Etta Scollo e Rita Botto, e il cantastorie Franco Trincale, con le sue opere di ‘giornalismo cantato’.
Non meno antiche ed interessanti sono le invenzioni coreografiche. Ancora viva, presso il centro palermitano di Petralia Sottana, è la tradizione del “Ballo della Cordella”. Si presume sia infatti antica erede di una più remota danza della fertilità, dedicata in onore alla dea Cerere; essa si svolge intorno a un palo, dal quale pendono cordicelle di svariati colori, con l’obiettivo di rappresentare l’evidente stilizzazione di un albero fiorito. Ogni cordicella viene tenuta in mano per il capo sciolto, dal danzatore (in tutto dodici coppie, a rappresentare le stagioni), che dovrà intrecciarla con la mano destra, durante la danza. La manifestazione si svolge ogni anno, dagli anni Trenta, durante l’ultima domenica di agosto. Al gruppo degli antichi balli siciliani si collega anche ‘l'antica Siciliana’, danza pastorale di movimento moderato che nei secoli si è prestata a molti componimenti vocali, anche moderni, come le ‘sonate’. Di antiche origini, è anche la sagra del Tataratà, risalente probabilmente alla dominazione Islamica di Sicilia. La danza propiziatoria fatta con sciabole e abiti candidi, dovrebbe mettere in scena la battaglia tra Mori e Cristiani ed è celebrata, sentitamente ogni anno, nell’ambito della “Festa della Santa Croce”, presso il comune di Casteltermini, in provincia di Agrigento.
Autore | Enrica Bartalotta