Musica siciliana

Ecco come è nata la Musica Siciliana

La musica siciliana popolare affonda le radici nelle elegie funebri e negli inni sacri. Questi furono introdotti dai greci e poi dagli arabi, arrivando alla musica strumentale normanna. La prima testimonianza musicale in lingua siciliana si deve alla scuola federiciana, nel XIII secolo. Gli strumenti musicali siciliani della tradizione sono zufolo o friscaletto, il marranzano, il tamburello.

Esistono varianti che presentano l’uso di altri strumenti quali quartara, organetto, ciaramella, fisarmonica, chitarra battente e anche la zampogna.

Le melodie

La melodia siciliana tende a discendere dall’acuto, anzi dall’acutissimo al grave. Da una zona all’altra si ha un mutamento caratteristico delle scale impiegate, ognuna delle quali assurge a dignità del “motto del paese”. Queste, puntualmente, si connettono agli antichi modi greci, dimostrando il legame con la musicalità ellenica.

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Ciò vale in parte anche per la tecnica della variazione che è eminentemente melismatica (fioriture di suoni su una sillaba o vocale del testo), ma poiché, spesso, tali ornamenti inglobano intervalli inferiori al semitono ne risulta che essi potrebbero derivare tanto dalle “chroai” del genere enarmonico ellenico come nelle gamme arabe, ricche, appunto, di simili intervallazioni.

Le ascendenze “saracene” si fanno inoltre sentire nelle modalità d’intonazione della voce, sempre tese ed aspre. L’orizzonte culturale ellenico riappare nello strumento principale dell’isola, vale a dire nel “mariòlu”, del tutto simile all’antica “lyra”, anche per i poteri terapeutici che si attribuiscono alle sue sonorità.

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L’arte musicale è altresì presente come manifestazione di fede. Non mancano, a tal proposito, i canti di giubilo nelle rappresentazioni del presepe “vivente” di Cianciana (Girgenti, Agrigento) e con lamenti, sostenuti da tamburi e strumenti a fiato, nel racconto della Passione di Cristo, quale si svolge ad Agira, in provincia di Enna.

I cantastorie

Un ruolo significativo è stato giocato dai cantastorie. La musica siciliana, infatti, era un tempo patrimonio di due gruppi principali: i cantori ambulanti veri e propri, dediti alle ballate cavalleresche e alle storie profane, e gli “orbi” (i ciechi), specializzati nelle narrazioni e nei canti religiosi.

Oggi i primi sopravvivono ancora, ma dall’inizio del secolo la loro funzione ha conosciuto un progressivo impoverimento: dapprima per l’influsso della musica “di consumo” e per il volgersi a soggetti di cronaca moderna, perlopiù “nera”, fattori che li hanno sradicati dal terreno più profondo della tradizione, e più recentemente, a causa di un processo d’intellettualizzazione tutto esteriore e dominato, non di rado, da sollecitazioni di politica spicciola.

I balli

Non meno interessanti le invenzioni coreografiche. A tal proposito, merita di essere menzionato il “Ballo della cordella”, sicuramente erede di una più antica danza della fertilità, come lasciano indurre il tempo dell’esecuzione (feste di maggio) e i fondamenti delle sue figurazioni. Il ballo della cordella, infatti, si svolge intorno ad un palo, dalla cui sommità pendono lunghe cordicelle multicolori: evidente ricordo stilizzato dell’albero ricco di fiori.

Codesti nastri devono essere retti all’estremità libera dalla mano destra di ciascun interprete e intrecciati nel corso della danza. Il centro che ha una sorta d’appannaggio di tale ballo è Petralia Sottana, in provincia di Palermo.

Fra le restanti forme coreografiche dell’isola si deve ricordare l’antica Siciliana, danza di carattere pastorale, in movimento moderato, tagliata in tempo di 6/8, 12/8 o 6/4, entrata nella sfera della musica colta e le danze funebri, pressoché scomparse, che ebbe molta voga nelle “suites” o nelle “sonate” (si prestò anche per la musica vocale e restò sempre una delle forme predilette dai musicisti, tanto che si trova non solo in opere del secolo scorso, ma anche in composizioni da camera di autori moderni).

E anche il Tataratà, una danza armata, e propiziatoria, risalente, secondo diversi studiosi, al periodo di dominazione islamica dell’isola, ancora praticata a Casteltermini.

Redazione