Cittadini, studenti e magistrati in arrivo non solo dalla Sicilia, ma anche dal resto del Paese, per visitare il museo Falcone e Borsellino, inaugurato martedì scorso nel Palazzo di Giustizia di Palermo. Le richieste giunte ad appena sei giorni dall’inaugurazione sono circa un centinaio. Per gestire questo flusso in settimana sarà creato un apposito spazio sul sito della Corte d’Appello di Palermo. Le richieste potranno essere inoltrate via mail: in questo modo sarà possibile fissare degli appuntamenti per consentire le visite.
Il "bunkerino" – così viene chiamata l’area in cui si trovano gli uffici in cui lavorarono Giovanni Falcone e Paolo Borsellino a partire dalla seconda metà del 1983 – è uno spazio piuttosto piccolo, dove non è possibile accedere in tanti. Di giorno in giorno ad aggiungere cimeli è Giovanni Paparcuri, l’autista di Rocco Chinnici scampato alla strage in cui il giudice venne trucidato e che Falcone e Borsellino vollero poi nella loro squadra. È stato lui a volere fortemente il museo. Nelle stanze sono stati sistemati arredi, oggetti e preziosi documenti originali. Ci sono la penna di Falcone, come il suo pacco di sigari, i vari posacenere utilizzati dai giudici, incalliti fumatori.
Ci sono computer dell’epoca e anche una macchina per la microfilmatura. I primi strumenti tecnologici che furono messi a disposizione dello storico pool antimafia. E per farli funzionare l’esperto era proprio Paparcuri, che ha anche aggiunto nel museo un libretto di istruzione con i comandi di un vecchio computer. Gli uffici per anni sono stati utilizzati con altri fini e svuotati dei loro arredi. Si è deciso di recuperarli per aprirli al pubblico e fornire una memoria viva dei due magistrati. Fondamentale il contributo di Paparcuri, ma anche l’impulso dato dal presidente della Corte d’Appello, Gioacchino Natoli, nonché dell'Associazione Nazionale Magistrati.