La storia antica della Sicilia è fatta di ingegno e avvenimenti che, ancora adesso, riescono a incuriosire e affascinare. L’invenzione delle neviere, ad esempio, è uno di questi. La consuetudine di conservare la neve ghiacciata, per poterla utilizzare nelle città nei mesi estivi, è documentata fin dall’XI secolo. La neve si custodiva all’interno di cavità: la si compattava e la si solidificava attraverso alcuni accorgimenti, poi la si trasportava e la si vendeva. Così, ad esempio, si preparavano granite e gelati. Le città di Catania e Palermo potevano contare sulle abbondanti precipitazioni sull’Etna e sulla Rocca Busambra, mentre altre località facevano affidamento sulla neve dei Nebrodi. Ancora oggi è possibile percorrere le antiche vie della neve: scopriamo insieme le neviere dell’Etna.
Le grotte dell’Etna erano vere e proprie neviere naturali. La fama di questi luoghi era tale che persino Jean Houel realizzò un affresco della cosiddetta “Grotta dei Ladri“, nel 1782. Il celebre viaggiatore ci ha anche raccontato come si svolgesse la conservazione della neve. «Sulla montagna chiamata Finocchio, montagna che, sebbene assai considerevole, non è altro che una protuberanza dell’Etna, le acque hanno scavato da poco tempo una grotta, insinuandosi sotto le lave e portando con sé la pozzolana che serviva da letto a queste lave. Il proprietario della zona ha riconosciuto che il luogo era adatto per ricavarne un magazzino da neve […] .
Questa grotta fu affittata o venduta all’Ordine di Malta, il quale, sulla roccia bollente dov’è posto, non trovando né ghiaccio, né neve, ha affittato sull’Etna parecchie caverne, dove persone a sue spese hanno il compito di accumulare e conservare la neve. […] La grotta è stata quindi sistemata a spese dell’Ordine: sono state costruite delle scale; sono stati scavati due specie di pozzi da dove si getta la neve, e da dove prende luce la grotta. Al di sopra della stessa grotta è stata spianata una grande di stesa di terreno; attorno sono stati costruiti dei grossi muri, in maniera tale che, quando i venti, che sono violenti a questa altitudine, trascinano la neve dalle rocce superiori e la gettano in questa cinta di muri, la neve si deposita e si raccoglie.
Quindi la si getta dai pozzi nella grotta, la si ammassa e la si conserva senza che il calore dell’estate la faccia sciogliere. Lo spessore della lava, che le serve da soffitto, la protegge. Quando la stagione degli imbarchi sopraggiunge, si mette la neve in grandi sacchi, che si riempiono con forza; la si batte bene e questa compressione le da consistenza e la rende molto pesante: degli uomini la trasportano fuori dalla grotta, come l’ho qui rappresentata, e la mettono sui muli che la portano a riva dove delle piccole navi l’attendono. Prima di mettere i mucchi di neve nei sacchi, si avvolgono di foglie fresche affinché nel trasporto dalla grotta al mare, le foglie la proteggano dal calore del sole. Ho visto blocchi talmente compressi, e la cui neve era così pura, che si potevano scambiare per dei pezzi di cristallo della più bella trasparenza».
Intorno all’Etna, dunque, è possibile trovare alcune delle neviere più famose. Ne troviamo una nella bottoniera lavica dei crateri di monte Sartorius: si tratta di un lungo camminamento sotterraneo, risultato di una galleria di scorrimento lavico, con diversi interventi che ne hanno riadattato lo scopo. Un’altra si trova nel comune di Bronte, nel bosco di Centorbi: in questo caso, la neviera ha subito anche importanti interventi architettonici. Per comprendere l’importanza di questi luoghi, vi basti pensare che le neviere dell’Etna immagazzinavano la neve che poi partiva dai porti di Catania e Riposto. Questa riforniva non solo alcune parti d’Italia, ma anche l’isola di Malta. Si utilizzava per refrigerare, ma anche per la preparazione di sorbetti, gelati e, non ultime, le tanto amate granite.
Foto di Orazio Modica