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Pagnotta alla Disgraziata, street food messinese eccezionale: com’è fatta e qual è la sua storia?

La Pagnotta alla Disgraziata è uno dei simboli della città di Messina. Un pane farcito storico che, grazie alle sue caratteristiche, è anche entrato a far parte dell’elenco dei Prodotti agroalimentari tradizionali italiani. La sua storia inizia in una paninoteca, il chiosco alle Quattro Strade, sui Colli San Rizzo, e il suo artefice fu Domenico Mazza, chiamato Don Minico. Domenico, in gioventù, ogni giorno portava da Gesso a piedi in città il pane appena sfornato nel forno in cui lavorava.

Lasciato quel forno, aprì il suo chiosco, che vendeva gassose. L’ispirazione per la sua pagnotta arrivò dal fagotto che riceveva ogni giorno dalla moglie, recapitato grazie alla cortesia dell’autista di una corriera. Era avvolto nel tipico fazzoletto di stoffa e conteneva una pagnotta farcita con melanzane e pomodori sott’olio fatti in casa, insieme a ciò che c’era in dispensa. Don Minico, spesso, condivideva il suo panino con clienti o cacciatori. Una giorno, anche un ladruncolo ne volle approfittare, quindi Domenico lo condì con molto peperoncino: da qui l’imprecazione del malcapitato “Questo pane è disgraziato come te“, che ha ispirato il nome della Disgraziata.

Foto: pagina FB Don Minico

Quando Don Minico decise di servire la Pagnotta alla Disgraziata, il chiosco divenne una meta delle passeggiate dei messinesi e, negli anni Settanta, è diventato la Casa di Cura Don Minico: il figlio Paolo, infatti, era sicuro che quei panini potessero curare tutti i mali. Ma come è fatta la celebre Pagnotta alla Disgraziata?

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La Pagnotta alla Disgraziata

Per fare la Pagnotta alla Disgraziata, si deve farcire il pane siciliano di semola fatto in casa con melanzane e carciofini sott’olio, pomodori secchi, olive schiacciate, formaggio primosale al pepe e salame locale. Una delizia autentica che si è radicata nella cultura peloritana al punto che, nel 2003, il Ministero delle Politiche Agricole lo ha inserito tra i PAT, i prodotti agroalimentari tradizionali. Con gli anni, il chiosco si è ampliato, diventando anche un’azienda agricola biologica, dopo la morte di Don Minico, nel 2015.

Redazione