Palazzo Alliata di Villafranca è uno dei palazzi nobiliari di Palermo più famosi. Uno dei modi migliori per conoscere il capoluogo è visitare le sue dimore storiche. Si scopre, così, un universo fatto di saloni sontuosi, preziosi decori, arredi e antichi fasti. L’edificio di cui parliamo oggi si trova nell’attuale piazza Bologni, un tempo chiamata “Platea D’Aragona”. Venne, infatti, aperta tra il 1556 e il 1557, al tempo di don Carlo D’Aragona, Presidente del Regno e principe di Castelvetrano. Il Palazzo Alliata di Villafranca occupa un intero isolato, compreso tra il Cassaro e la retrostante via dell’Università. Da questo dettaglio se ne può comprendere la magnificenza: è come un tesoro che racchiude altri tesori.
Storia del Palazzo Alliata di Villafranca
Francesco Alliata di Villafranca lo ha descritto così: «Potevi essere andato a Timbuctù o in Patagonia, avere visto cose meravigliose e passato momenti unici. Ma quando, tornato a Palermo, salivi su per il corso e cominciavano ad apparire i balconi a petto d’oca del nostro Palazzo, il Palazzo Villafranca, allora l’emozione che era diventata più intensa, mano a mano che ci avvicinavamo a piazza Bologni, si trasformava in pura felicità. Solo in quel momento il viaggio che avevi appena fatto e la casa che ti aspettava prendevano un senso». Le origini dell’edificio sono cinquecentesche. Vi erano le case della famiglia Beccadelli di Bologna, una potente casata giunta in Sicilia in età rinascimentale. Fu acquisito nel XVII secolo dagli Alliata di Villafranca e per quattro secoli è stato principale dimora della famiglia Alliata a Palermo.
Nel 1751 fu pesantemente danneggiato da un terremoto. Nell’anno seguente, in concomitanza delle nozze di Fabrizio Alliata con Maria Felice Colonna, si effettuarono grandi lavori di ampliamento. I restauri furono curati dagli architetti G. B. Vaccarini, F. Ferrigno e G. B. Cascione (stuccatori della scuola del Serpotta) e dal pittore G. Serenario per gli affreschi dei saloni, oltre a ceramisti napoletani e abili ebanisti. Gli interventi andarono avanti fino al 1758 e comportarono un totale rifacimento della facciata. Venne impreziosita da quattro statue in marmo raffiguranti Apollo, una figura femminile panneggiata di epoca romana, Vesta e Diana.
Si conservano ancora i due grandi stemmi in stucco delle famiglie Alliata – De Giovanni – Paruta – Colonna e Morra di scuola serpottiana, riprodotti fedelmente anche nel pavimento maiolicato del Salone dello Stemma al piano nobile. Altri interventi, di gusto neoclassico, risalgono ai primi decenni del 1800. Questi lavori, voluti da Giuseppe Alliata e dalla moglie Agata Valguarnera, interessarono le alcove, il Salone Rosa, il Salone Giallo e la facciata. Tra la fine del XIX secolo e la prima metà del XX ebbero luogo ulteriori sistemazioni in chiave neogotica. Nel corso dell’ultima guerra mondiale il palazzo ha subito gravi danni. Ci furono nuovi interventi di restauro tra il 1950 e il 1960, con conseguenti trasformazioni che mutarono per sempre l’aspetto originale del piano nobile e degli ammezzati.
Cosa rende unico il Palazzo Alliata di Villafranca
La facciata del Palazzo Alliata di Villafranca ha due portali simmetrici. Al centro della facciata una lapide ricorda una sosta di Giuseppe Garibaldi, avvenuta nel 1860. L’edificio ospitava una delle più importanti collezioni di arte della città. È ancora visibile la celebre Crocefissione di Van Dyck, di cui si conserverebbero alcuni documenti di committenza, e due pregiate tele di Matthias Stom. La decorazione degli interni fu affidata al pittore Gaspare Serenario, che si occupò dei bellissimi saloni del piano nobile. Quasi tutti gli affreschi, purtroppo, sono andati perduti durante il secondo conflitto mondiale. I saloni, grandissimi, erano ornati da preziosi stucchi, i pavimenti a mattonelle smaltate erano decorati da gradevoli fantasie, le porte i sopraporta e gli infissi dorati in oro zecchino. Non mancavano preziose tappezzerie. L’insieme ha dato vita a un trionfo di ricchezza e raffinatezza, ancora presenti nel Palazzo Alliata di Villafranca di Palermo.
Foto di Rino Porrovecchio – Credits