Era il 19 ottobre 1944 quando 24 giovani palermitani rimasero uccisi e 158 vennero gravemente feriti dal fuoco dell’Esercito Italiano, che era stato mandato in Sicilia per sedare la rivolta.
In via Maqueda venne consumata una strage, la più grave dai tempi della Repubblica. Siamo nell’Italia del Dopoguerra, a pochi mesi dalla Liberazione definitiva, quando il Governo Nazionale chiede alla Sicilia di combattere nuovamente, questa volta al fianco degli Alleati. La popolazione, già stremata da anni di privazioni e stenti insorge, in diverse località della regione, dando vita a moti e rivolte antimilitari alimentate dal malcontento e dalla fame.
Era il periodo dei moti dei “non si parte”, che il 18 dicembre del 1944 avrebbero dato vita alla prima manifestazione ufficiale, messa in piedi su iniziativa di Giacomo Petrotta, presso Piana dei Greci, a cui vi parteciparono all’incirca 5.000 persone. I moti si ripeterono la notte del 20 febbraio del ‘45 e durarono per circa 4 giorni, decretando la fine della cosiddetta ‘Repubblica contadina’ di Piana degli Albanesi. Moti che si scatenarono in tutta la Sicilia, portando alla nascita, il 6 gennaio dello stesso anno, alla Repubblica Indipendente di Comiso, un’istituzione nata dall’iniziativa spontanea dei cittadini, stanchi e infuriati dai vertiginosi aumenti del prezzo del pane, che resistettero ad un assedio militare di ben otto giorni.
Con la Sicilia messa a ferro e fuoco dai cittadini in rivolta, lo Stato non ebbe altra scelta che reprimere; tramite quella che passò alla storia come “la Tragedia del Pane” conclusasi con una sanguinosa repressione ai danni di un gruppo di giovani palermitani, insorti presso Palazzo Comitini, che vennero scelti dallo Stato ad esempio; il loro reato: avere avuto fame e per questo aver deciso di non voler più combattere.
Sulla folla inerme vennero così sparati colpi di fucile ad altezza d’uomo e bombe a mano che causarono la morte anche di donne e bambini. Un’aggressione che non fece altro che inasprire i sentimenti di ribellione e le volontà di separatismo di molti siciliani, primo fra tutti Antonio Canepa, fondatore dell’Esercito volontario per l’indipendenza della Sicilia (EVIS).
Una pagina buia della storia italiana e siciliana, che non vide mai la luce della giustizia, nemmeno quando, a pochi anni dal massacro, il 22 febbraio del 1947, i militari coinvolti non vennero riconosciuti responsabili in quanto ‘costretti a difendersi’.