La costruzione del Palazzo risale alla fine del XV secolo, ad opera di Matteo Carnilivari, che lo realizzò per Francesco Abatellis (detto anche Patella, da cui il secondo nome del Palazzo), maestro Portulano del Regno. La struttura è uno splendido esempio d'architettura gotico-catalana, che venne traslato a monastero nel 1526, per volere dello stesso Abatellis. Furono necessari numerosi adattamenti, per rendere il comprensorio adatto alla vita monastica delle suore domenicane; le diverse ali, furono ad esempio frazionate per ricavarne cellette e corridoi, le finestre furono modificate, furono tolte le colonnine intermedie e alcuni elementi decorativi. Il Palazzo venne dunque reso noto con il nome di "Monastero del Portulano".
Successivamente, venne realizzata, sul lato sinistro del Palazzo, una cappelletta (1535-1541) che prese il nome di "Chiesa di S. Maria della Pietà", da cui derivò la struttura, più grande, del XVII secolo, che portò alla distruzione della cappella con la suddivisione dello spazio in diversi vani. La parte anteriore, quella con l'ingresso su via Alloro, fu adibita dunque a parlatorio mentre la parte posteriore venne adibita a magazzino.
Dopo il bombardamento del 17 aprile 1943, che danneggiò gravemente il Palazzo, la Soprintendenza ai Monumenti decise di restaurare la struttura architettonica, che sarebbe diventata una galleria d’arte medievale. I lavori furono affidati all’architetto Mario Guiotto prima e all'architetto Armando Dillon poi, e non vennero portati a termine prima della metà del 1953. Tolte la loggia, il porticato, tutta l'ala sud-ovest e la parete della torre ovest, rimase la struttura principale a sostegno di una monumentale collezione pittorica e scultorea messa insieme da Carlo Scarpa. La Galleria venne aperta al pubblico il 23 giugno del 1954. Ad oggi, l’allestimento voluto dallo Scarpa rimane, ma sono state riviste e create nuove ali (la Sala Verde e la Sala Rossa) che ospitano alcuni lavori del Seicento.
Il museo ospita le collezioni provenienti da acquisizioni, donazioni e incameramenti della Pinacoteca della Regia Università, e, dal 1866 in poi, delle collezioni del Museo Nazionale di Palermo, divenuto Regionale.
Al piano primo sono situate le opere lignee del XII secolo e le sculture risalenti al Trecento e Quattrocento. Da menzionare, sono sicuramente “Annunciazione”, “Ritratto di Giovinetto” e la “Madonna del latte”, ad opera di Antonello Gagini e di Domenico Gagini. A questo piano appartengono anche le maioliche dipinte a lustro metallico dei secoli XIV e XVII, e il “Busto di gentildonna” realizzato da Francesco Laurana nel XV secolo.
Presso l’area che corrispondeva alla ex cappella, si trova il grande affresco del “Trionfo della Morte”, appartenente a Palazzo Sclafani. Qui, La Morte viene rappresentata su un cavallo scheletrico, mentre irrompe in un giardino e semina terrore e scompiglio tra giovani gaudenti e nobili donzelle. Tutt’intorno, corpi esanimi di uomini appartenenti alle gerarchie, laiche e religiose, del tempo e un gruppo di derelitti sopravvissuti.
Altri importanti capolavori ivi conservati, sono "L'ultima cena" di Jaume Serra, il "Salone delle croci", in cui è possibile ammirare la croce lignea dipinta dal Ruzzolone, e quella appartenente al Maestro di Galatina; nonché la collezione dei dipinti della Pinacoteca, tra cui la "Madonna dell'Umiltà" di Bartolomeo Camulio (situata presso la sala VII), e nella sala XI, l'”Incoronazione della Vergine” di Riccardo Quartararo, e i lavori del Cinquecento di Antonello Crescenzio.
Sempre al primo piano, non bisogna farsi sfuggire una visita alla ‘sala di Antonello’ (sala X). Ivi riposa l'Annunziata di Antonello da Messina, opera del XV secolo considerata l’icona del Rinascimento italiano. Nella stessa sala sono collocate altre opere dell’Antonello: come le tavole dei tre Dottori della Chiesa, rappresentazioni delle cuspidi del polittico (andato disperso) a cui appartenevano.
Presso la sala XIII, ci accoglie una collezione di dipinti fiamminghi, tra cui il trittico Malvagna di Jan Gossaert e la Deposizione di Jan Provost. La prima, è un'opera miniaturista che raffigura una Madonna con Bambino assisa tra angeli (nel pannello centrale); ai lati, Santa Caterina d'Alessandria e Santa Dorotea. Sul retro del pannello si trova lo stemma della famiglia dei Lanza.
Nelle ultime sale (la XV, la XVI e la XVII), sono esposti dipinti di Vincenzo da Pavia, Jacopo Palma il vecchio, e le tele a carattere mitologico del Cavalier d'Arpino e di Francesco Albani. Meritano uno sguardo anche le tele di Giorgio Vasari, Girolamo Muziano e Marco Pino.
Nei nuovi spazi museali della Sala Verde e della Sala Rossa, è conservata una significativa raccolta delle opere di Giuseppe Alvino, Gaspare Bazzano, Pietro D'Asaro, e di alcuni esponenti della pittura seicentesca e realista. Fra le altre, vanno citate “San Francesco” e “L'estasi di Santa Caterina” di Filippo Paladini, appartenenti al tardo manierismo siciliano (Sala Verde). A concludere il percorso espositivo della Sala Verde, la "Sfera d'Oro", il grande ostensorio in oro, argento dorato, smalti e diamanti, risalente al Seicento, della Casa dei padri Filippini di Palermo.
Nella sala rossa ci accolgono opere di impronta Caravaggesca. Qui, il francese Simon Vouet ci accoglie con “Sant'Agata liberata dal carcere”; a seguire arrivano l'”Amore dormiente” di Battistello Caracciolo e una copia di autore ignoto della “Cena in Emmaus” del Caravaggio.
Da non perdere, sono soprattutto le tele di Antoon Van Dyck, una tra tutte è sicuramente "Santa Rosalia incoronata dagli angeli".
Infine è possibile ammirare gli sviluppi della cultura figurativa del Seicento, con le tele del fiammingo Mathias Stomer e dello spagnolo Josep de Ribera, mentre fra gli italiani, si annovera “La Maddalena” di Andrea Vaccaro, e “il tormento di Tycius” di Cesare Fracanzano. Il percorso espositivo si conclude con le opere d’arte barocca di Mattia Preti, Agostino Scilla e Luca Giordano.
Autore | Enrica Bartalotta