di Nando Cimino
Con il termine “papuni” i palermitani, e non solo loro, indicavano in genere le grandi navi a vapore che numerose partivano ogni giorno dal porto, trasportando merci o passeggeri. Erano navi che pian piano avevano sostituito i vecchi e suggestivi velieri e che ritroviamo citati anche nei versi di un antico canto popolare siciliano che così recita: “…Si parti lu papuni senza vili, sparma lu focu e metti a caminari…” Ma stranamente, con la parola “papuni”, gli stessi palermitani indicavano anche un altro mezzo di trasporto, stavolta terrestre, che fin nei primi anni del novecento era particolarmente usato. Si trattava di una specie di diligenza, ovvero una sorta di carrozzone che, come ben si vede in questa antica cartolina dei primissimi anni del novecento, trainata da un cavallo, era utilizzata per il trasporto di passeggeri con solo bagaglio a mano. Era probabilmente in uso già dalla metà dell'ottocento e si vide per le strade della città fin negli anni trenta del novecento; allorchè, pian piano soppiantata dai nuovi mezzi di locomozione, fece la sua lenta ma irreversibile scomparsa. La tratta più “affollata” che questo antenato dei moderni minibus percorreva in quegli anni era quella tra Palermo e Misilmeri; percorso che veniva coperto in circa due ore ed il cui biglietto costava intorno alle cinque lire. “U papuni”, guidato da un cocchiere, poteva trasportare fino ad un massimo di dodici passeggeri, che sicuramente non dovevano certo stare ben comodi visto lo stato delle strade dell'epoca; ma, per la sua convenienza, pare fosse particolarmente utilizzato dal ceto popolare dando quindi lavoro a tanti “papunara”.