Passeggiare per il centro storico di Palermo è come sfogliare un libro di storia, dove le strade raccontano di antichi mestieri e tradizioni secolari.
Ogni vicolo e cortile, da via Candelai a via Lattarini, da via Calderai a vicolo Pirriaturi, porta il nome di professioni, che un tempo animavano la città, testimonianza di un’economia artigianale fiorente e variegata.
Alcuni di questi mestieri sono facilmente riconoscibili; altri, dal nome suggestivo, possono trarre in inganno. I cittadini palermitani spesso ignorano il significato di certi nomi, appartenenti a lavori ormai scomparsi o che si sono trasformati nel tempo.
In passato, questi artigiani si riunivano in corporazioni, gruppi di lavoratori che operavano nello stesso settore e vivevano nelle stesse strade o quartieri, uniti da legami di amicizia e solidarietà. Non era raro che queste avessero anche un santo patrono e luoghi di culto comuni, come oratori e piccole chiese.
Questo tessuto sociale era così solido da essere talvolta incaricato dall’amministrazione cittadina di sorvegliare la città, e, in alcune occasioni, erano le stesse corporazioni a guidare rivolte popolari.
Tuttavia, queste associazioni di mestiere furono abolite ufficialmente nel 1821 dal re Ferdinando di Borbone, in quanto considerate dannose per l’economia del Regno.
Tra i mestieri più affascinanti, troviamo i candelai, artigiani della cera che producevano candele per uso domestico e votivo, prima che l’industria moderna li sostituisse.
Vi erano poi i calzonai, sarti specializzati nella confezione e riparazione di pantaloni, e i cafisari, commercianti d’olio d’oliva, nome che deriva da un’antica unità di misura, il cafisu. Palermo era anche famosa per i cartari, che producevano carte da gioco in botteghe situate nel quartiere del Capo.
C’erano, poi, i maccheronai, artigiani che essiccavano la pasta sulle cosiddette “maidde” (cassettoni di legno) e alcuni preparavano formati speciali, come i vermicelli.
Tra le professioni più curiose troviamo quella dei credentieri, servitori incaricati di assaggiare i cibi per accertarsi che non fossero avvelenati e i pirriaturi, tagliapietre che estraevano pietre dalle cave e a volte scolpivano decorazioni ancora oggi visibili nelle chiese palermitane.
Non tutti i mestieri hanno resistito al tempo, e alcuni, come quelli dei chiavettieri e dei coltellieri, specializzati rispettivamente nella fabbricazione di chiavi e coltelli, sono scomparsi lasciando solo il nome nelle vie.
La zona dei lattarini conserva nel toponimo un’antica tradizione commerciale legata a un mercato di spezie e altri prodotti, ispirato al suk arabo, mentre gli scopari realizzavano scope fatte di saggina e che venivano usate per la pulizia delle strade.
Infine, tra i nomi più evocativi troviamo quello delle sedie volanti, ossia portantine utilizzate per il trasporto delle persone, e degli zingari, che nel quartiere dell’Albergheria lavoravano il ferro e producevano chiodi e catene.
Oggi, la toponomastica di Palermo ci regala un prezioso patrimonio culturale che racconta un passato di maestria e di ingegno.
Questi mestieri non sono solo nomi di strade, ma frammenti di un’identità collettiva, che ancora oggi contribuisce a definire l’anima della città.
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