Frutto della terra e dono di Dio. In una accezione panteistica cibum per eccellenza è il pane celebrato in tutte le culture e in forme diverse, ma sempre “pane”. Nella cultura cattolica il pane viene associato al vino in una bellissima sintesi che trasfigura il Cristo stesso nel cibo che diventa “Divino”. Tutto questo porta dentro di sé il grande rispetto che l’uomo “deve” al cibo e alla terra che lo ha generato.
Adesso viene la notizia. Cosa ti fanno in un piccolo laboratorio di provincia? Un laboratorio che ogni giorno prepara il “dacci oggi” e lo prepara per i cosiddetti intolleranti. Un laboratorio piccolo che quotidie sforna pane di 5, 6, 10 tipi diversi. Pane di mosto fresco… La farina non c’è. E neanche il lievito. Non c’è quella routine che ti fa ingozzare il pane a morsi senza sapere cos’è. C’è la favola. Il niente che si materializza in un pane semplice e che lo rende “Divino”.
Al laboratorio, che si chiama “Glutinò” e si trova in quella Canicattì ai confini estremizzati della Sicilia, non l’hanno capito bene cosa sono riusciti a fare. E forse è meglio così… Loro vivono in una dimensione quasi fiabesca con un ciclo di produzione che non esiste in giro… Il pane di mosto nasce dal matrimonio di un amido di mais leggero come una nuvola e il mosto fresco d’uva rossa che proviene dalle terre del sig. Antonio, papà di Giusi che gestisce assieme al marito Elio, questa piccola realtà. Elio, con tanto di curriculum da pedagogista e formatore, si è scoperto a “parlare” con il pane. Ne ascolta le esigenze, lo cura, lo coccola, lo mette a dormire per lunghe ore per farlo crescere sano e forte come il parente più “fortunato” che grazie al glutine “viaggia” più spavaldo. Elio dà al suo pane la “vera” madre. Cura con continuità quel “criscenti” che naturalmente fa lievitare i pani. Prepara le forme ogni sera adagiando delicatamente l’impasto su un tessuto di cotone che come una culla lo fa crescere tutta la notte.
Ma per il pane di mosto… è tutta un’altra storia. Amido e mosto fresco si mescolano assieme e dall’amalgamato amore si lievita senza lievito ma con “levitazione” data dalla fermentazione naturale del mosto per almeno 12 ore. Si tocca il cielo con un dito. Dal forno viene fuori un profumo d’altri tempi. Il pane si sforna come un piccolo miracolo. Lo si apre insieme, mai da soli, e dal colore capisci che una parabola poteva scriversi anche qui… Il colore rosso violaceo colpisce immediatamente così come la sua evidente lievitazione. Quasi emozionante l’assaggio per chi, come me, crede nelle piccole cose, negli affetti, nella famiglia, nei valori più semplici e più “umani”. L’odore di mosto lo si sente come d’uva appena pigiata e il sapore è una vera meraviglia che si ripete solo qui. E’ dolce come il vino da messa. E io, che ci credo, lo gusto lentamente e lo accompagno con una preghiera. Ad occhi chiusi. Ogni volta che Elio e Giusi me ne fanno dono.