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Paolo Borsellino, biografia del giudice ucciso da Cosa nostra nella Strage di via D’Amelio

Paolo Borsellino, chi era il giudice ucciso da Cosa nostra nella strage di via D’Amelio insieme a cinque agenti della sua scorta. Biografia e carriera: dove è nato, le indagini più famose, la collaborazione con Giovanni Falcone.

Paolo Borsellino

Il nome completo di Paolo Borsellino era Paolo Emanuele Borsellino. Nacque a Palermo, nel quartiere della Kalsa, il 19 gennaio del 1940. Cosa nostra lo uccise il 19 luglio del 1992.

Biografia e carriera

Borsellino si laureò in Giurisprudenza nel giugno nel 1962, all’età di 22 anni. Superò nel 1963 il concorso per entrare in magistratura e, nel 1967, diventò pretore a Mazara del Vallo. Nel 1969 fu pretore a Monreale, dove lavorò insieme ad Emanuele Basile. Trasferito a Palermo nel 1975, a luglio di quell’anno entrò nell’Ufficio Istruzione Affari Penali sotto la guida del giudice istruttore Rocco Chinnici.

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Il 1980 fu un anno molto significativo, per diversi motivi. Ci fu l’arresto dei primi sei mafiosi, grazie a un’indagine di Basile e Borsellino ma, purtroppo, ma avvenne anche l’omicidio Emanuele Basile, con il conseguente arrivo della scorta per la famiglia Borsellino. Nacque, inoltre, il pool antimafia, sotto la guida di Chinnici.

Le indagini

Il 29 luglio 1983 venne ucciso Rocco Chinnici con l’esplosione di un’autobomba e pochi giorni dopo arrivò  da Firenze Antonino Caponnetto. Nel 1984 venne arrestato Vito Ciancimino e si pentì Tommaso Buscetta. Buscetta, chiamato “Don Masino”  nell’ambiente mafioso, venne arrestato a San Paolo del Brasile ed estradato in Italia.

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Buscetta descriveva una mafia di cui, fino ad allora, si sapeva poco o nulla, in modo molto dettagliato. Nel 1985 morirono per mano di Cosa nostra, a breve giorni di distanza l’uno dall’altro, i commissari Beppe Montana e Ninni Cassarà. Giovanni Falcone e Paolo Borsellino ebbero il trasferimento nella foresteria del carcere dell’Asinara, dove iniziarono a scrivere l’istruttoria per il Maxiprocesso.

Nella seconda metà del mese di dicembre del 1986 Borsellino venne trasferito alla Procura di Marsala. Poco dopo, nel 1987, Caponnetto lasciò il pool per motivi di salute: tutti, Borsellino compreso, si aspettavano la nomina di Falcone, ma il Consiglio Superiore della Magistratura (CSM) non la vide nella stessa maniera.

Si iniziò a temere che il pool potesse essere sciolto. Il 14 settembre Antonino Meli diventa (per anzianità) il capo del pool. Paolo Borsellino tornò a Marsala, dove riprese a lavorare alacremente e insieme a giovani magistrati, alcuni di prima nomina. Iniziò in quei giorni il dibattito per la costituzione di una Superprocura e su chi porre a capo.

Falcone andò a Roma per prendere il comando della direzione affari penali e premette per l’istituzione della Superprocura. Con Falcone a Roma, Borsellino chiese il trasferimento alla Procura di Palermo e l’11 dicembre 1991, insieme al sostituto Antonio Ingroia, torna operativo alla Procura del capoluogo siciliano.

Ultimi 57 giorni

I 57 giorni che separarono la strage di Capaci da quella di via d’Amelio furono i più difficili per Borsellino. Rimasto duramente colpito dalla morte del collega e amico e  consapevole di essere il prossimo obiettivo della vendetta di Cosa Nostra, continuò comunque a lavorare con intensità.

L’ultimo discorso di Paolo Borsellino

Paolo Borsellino tenne il suo ultimo discorso nel mese di giugno del 1992, nell’atrio della biblioteca di Casa Professa, nel corso di un dibattito organizzato dalla rivista “Micromega”:

Giovanni Falcone lavorava con perfetta coscienza che la forza del male, la mafia, lo avrebbe un giorno ucciso. Francesca Morvillo stava accanto al suo uomo con perfetta coscienza che avrebbe condiviso la sua sorte. Gli uomini della scorta proteggevano Falcone con perfetta coscienza che sarebbero stati partecipi della sua sorte. Perché non è fuggito, perché ha accettato questa tremenda situazione, perché non si è turbato, perché è stato sempre pronto a rispondere a chiunque della speranza che era in lui? Per amore!”.

La sua vita è stata un atto d’amore verso questa sua città, verso questa terra che lo ha generato. Perché se l’amore è soprattutto ed essenzialmente dare, per lui, e per coloro che gli sono stati accanto in questa meravigliosa avventura, amare Palermo e la sua gente ha avuto e ha il significato di dare a questa terra qualcosa, tutto ciò che era ed è possibile dare delle nostre forze morali, intellettuali e professionali per rendere migliore questa città e la patria cui essa appartiene”.

“[…] Per lui la lotta alla mafia non doveva essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale, che coinvolgesse tutti specialmente le giovani generazioni […], le più adatte a sentire la bellezza del fresco profumo della libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità, e quindi della complicità. Ricordo la felicità di Falcone […] quando in un breve periodo d’entusiasmo, conseguente ai dirompenti successi originati dalle dichiarazioni di Buscetta, egli mi disse: ”La gente fa il tifo per noi””.

La strage di via D’Amelio

Il 19 luglio del 1992, dopo aver pranzato a Villagrazia con la moglie Agnese e i figli Manfredi e Lucia, Paolo Borsellino si recò insieme alla sua scorta in via D’Amelio, dove viveva sua madre. Lì esplose una Fiat 126 parcheggiata nei pressi dell’abitazione, con circa 100 chili di tritolo a bordo. Uccise Borsellino e gli agenti della scorta Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traia. L’unico sopravvissuto fu Antonino Vullo.

Per la strage di via D’Amelio, il 3 luglio 2003, la Cassazione ha confermato le condanne all’ ergastolo inflitte ai mandanti dell’eccidio. II giudici della V sezione penale hanno reso definitive le condanne per Totò Riina, Pietro Aglieri, Carlo Greco, Giuseppe Calascibetta, Giuseppe Graviano, Francesco Tagliavia, Salvatore Biondino, Cosimo Vernengo, Natale e Antonino Gambino, Giuseppe La Mattina, Lorenzo Tinnirello, Gaetano Scotto, Gaetano Murano e Gaetano Urso.

Redazione