Nel XIX secolo a Palermo si preparava un gustosissimo piatto oggi quasi dimenticato. Parliamo del “pasticcio di sostanza“, una ricetta della tradizione, realizzato a regola d’arte dai monsù, i cuochi professionisti dell’aristocrazia siciliana.
A quel tempo la loro abilità culinaria, perfezionata a corte, dava vita a piatti complessi e ricchi di sapori, simbolo dell’opulenza gastronomica dell’epoca.
Questa specialità ricca e a base di carne è poi stata gradualmente abbandonata per via della sua complessità e riscoperta dopo anni di ricerca da Maria Olivieri, l’autrice del libro “I segreti del chiostro”, che ha riportato alla luce tante antiche ricette dimenticate, come le Fedde del Cancelliere.
Tracce del pasticciotto di sostanza si trovano per la prima volta nel 1811 nel registro del Monastero basiliano del Santissimo Salvatore di Palermo. Al suo interno il pasticcio includeva ingredienti oggi difficili da apprezzare.
La farcitura di questa pasta brisée era, infatti, composta da diverse parti di animali, come frattaglie, uova non deposte, lingua, midollo, e carni di pollo e vitello cotte in ragù.
La ricetta era estremamente laboriosa, ma nel corso del tempo è stata semplificata. Negli anni ’60, ad esempio, si diffuse una versione ridotta del piatto, con un ripieno a base di carne e spezie. Oggi, il pasticcio di sostanza è praticamente scomparso e, quando lo si trova, è proposto in versioni più semplici, simili ai moderni pasticci di carne.
Tuttavia, non va confuso con altri piatti a base di carne, come il pasticciotto di Natti o gli ‘mpanatigghi di Modica, due insoliti dolci caratterizzati da un ripieno di carne.
Secondo il cuoco Nicolicchia, Monsù di Casa Denti di Piraino, la ricetta originale del pasticcio di sostanza prevedeva di soffriggere il pollame con cipolletta e un po’ di pomodoro.
Una volta cotto, il pollo veniva spolpato e disposto a strati con uova non deposte, midollo, fegatini e frattaglie di gallina, e pezzetti di carne cotta in ragù.
Ogni strato era poi arricchito con zucchero, spezie e sale, e infine coperto con un disco di pasta brisée, spennellato con tuorlo d’uovo, poi cotto in forno caldo.
La versione semplificata di Pino Correnti ne “Il libro d’oro della cucina e dei vini di Sicilia” del 1976 usava invece pasta da pane, un soffritto di vitello e maiale, arricchito di cipolla, mandorle tostate, cioccolata amara, zucchero, sale e pepe. La farcia veniva, invece, preparata con carne soffritta e amalgamata con uova, poi si racchiude in due dischi di pasta da pane e si cuoce al forno.
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