Vi sarà sicuramente capitato di trovare, tra le pietanze tipiche del giorno della Commemorazione dei Defunti, anche tanti piatti a base di legumi. In Sicilia è buona abitudine, ad esempio, consumare zuppe e contorni preparati con questi ingredienti. Non tutti lo sanno, ma il motivo che sta dietro questa usanza è molto profondo e affonda le radici nel passato. Ecco, dunque, perché il 2 novembre si mangiano i legumi.
Da sempre, prodotti come ceci e fave si associano al mondo dei defunti. Prima del VII secolo a.C., le popolazioni ioniche credevano che, durante la festa delle Antesterie, i morti tornassero sulla terra. Quella festività si celebrava tra febbraio e marzo e, per permettere ai propri cari di rifocillarsi prima di fare ritorno nell’aldilà, si preparavano grandi pentole di ceci, fave e fagioli. I romani erano soliti mangiare, nel corso dei banchetti funebri, le fave: credevano, infatti, che dentro il baccello giacessero le anime dei morti. Per i Romani il “tempo dei trapassati” durava un’intera settimana di febbraio. La Festa dei Morti era molto importante perché “dai morti nasce la vita, come dai semi nasce il frutto”.
Diversi i riti dell’epoca: uno, fatto per chiedere la pace ai morti, consisteva nel cospargere di questi legumi le tombe. Un altro, eseguito per scaramanzia, era realizzato gettandosi le fave dietro alle spalle e recitando le parole: “Con queste redimo me e i miei“. In epoca cristiana, nelle ricorrenze dei Santi e dei Morti, le fave diventarono cibo di precetto nel 928 quando Oddone abate di Cluny ordinò che ogni anno il 2 novembre si commemorassero i defunti con speciali orazioni. Affinché i monaci riuscissero a vegliare l’intera notte in preghiera, l’abate concesse una razione speciale notturna di fave. I riti pagani, dunque, vennero “ereditati” dai cristiani che consumavano fave accanto alle tombe dei loro cari, il giorno del 2 novembre.
Con il tempo, nelle case più umili, si diffuse la consuetudine di cucinare per la Festa dei Morti zuppe e minestre preparate con i legumi. Vi sono moltissimi esempi, in tutta Italia. In Sicilia, nel palermitano, si preparano le “fave a cunigghiu“. Sono un piatto che si può proporre sia con le fave fresche, che con quelle secche non decorticate. I legumi si scaldano e si condiscono con olio, sale, pepe e origano. Il nome deriva dall’usanza di mangiare le fave con le mani, incidendo la buccia con gli incisivi, in modo da fare uscire il frutto, proprio come farebbe un coniglio. Il capofamiglia, in passato, era solito gettare le fave a terra, prima di distribuirle agli altri commensali. In questo modo, allontanava dalla casa le anime dei defunti. Foto: Alpha – Licenza.