Nel cuore del centro storico di Palermo, alle spalle delle absidi della Cattedrale si trova piazza Sett’Angeli, tra le vie delle Scuole, Simone di Bologna, dell’Incoronazione e Sant’Agata alla Guilla. La piazza offre un punto di visto molto particolare sul grande edificio di culto palermitano, sorprendendo chi vi si trova per la prima volta. A rendere interessante questi luoghi è la storia di quei sette angeli che ricorrono nel nome. Qui, fino al XIII secolo, vi era un’omonima Badia, con annessa chiesa. Si narra che vi si trovassero anche le case in cui nacquero Oliva e Ninfa, patrone del capoluogo. Nel 1516 fu rivenuto nella chiesa un affresco con i Sette Principi Celesti, con i sette nomi:
Il ritrovamento delle immagini dei Sette Angeli, risvegliò la grande devozione nei loro confronti. Nel 1529 venne costruito un monastero dedicato a San Francesco di Paola sotto il titolo dei «Sette Angeli», gestito dall’Ordine dei Minimi di Sant’Oliva, proprio in ricordo di quell’affresco trovato nella chiesa. Il nome della chiesa, inizialmente consacrata a Sant’Oliva e Santa Ninfa, venne cambiato in Sant’Angelo al Piano, dal vicino “Piano della Cattedrale”, per poi diventare dei Sett’Angeli. Carlo V d’Asburgo, che si trovava a Palermo reduce dalla conquista di Tunisi del 1535, commissionò a Hieronymus Wierix delle incisioni fedeli per diffonderne il culto a Roma e nell’Impero. La nobiltà di Palermo costituì la Confraternita dei Sette Angeli, che fu detta Imperiale, perché lo stesso Imperatore Carlo V volle essere annoverato tra i devoti.
Sia la chiesa che il monastero furono in gran parte distrutti nel 1860, nel corso dei combattimenti tra truppe borboniche e garibaldine. Fu al termine di quegli scontri che si formò la piazza come oggi la conosciamo. I locali del monastero vennero trasformati in una scuola superiore. Al centro della piazza troviamo un monumento in ricordo delle vittime civili della guerra, in particolare di quanti morirono il 9 maggio del 1943, quando una bomba centrò un rifugio della zona, uccidendo molti cittadini.
Foto: Luisa Cassarà