Giuseppe Pitrè fu uno scrittore e antropologo italiano, nato a Palermo il 21 dicembre del 1841. S’impegnò principalmente a portare alla luce gli usi e costumi del popolo siciliano; fu un alacre raccoglitore e studioso delle tradizioni popolane e del folclore, che lo resero famoso non solo nella regione ma anche nel resto d’Italia e all’estero.
Di origini umili, Pitrè entrò a far parte, giovanissimo, delle fila della Marina garibaldina. Divenne medico di professione e, spinto dalla passione per gli studi storici e filologici, ebbe l’occasione di raccogliere i canti popolari siciliani, sia dalla voce della madre, a cui dedicò la sua prima opera “Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane”, che dalla voce dei ceti meno abbienti con cui venne a contatto durante il suo lavoro e la sua missione di dottore. Tale opera comprende, oltre ai canti d’amore e di protesta, anche giochi, proverbi, motti e scongiuri, indovinelli, fiabe, feste, rimedi di medicina popolare e leggende, insomma tutto ciò che fa parte della tradizione e cultura di un popolo, fornendo lo specchio di una cultura altrimenti sconosciuta.
Pitrè collaborò proficuamente con Salvatore Salomone Marino, col quale fondò, nel 1880, la più importante rivista di studi sul folclore del tempo, “Archivio”. Intrattenne una fitta corrispondenza con studiosi di tutto il mondo, le cui lettere sono oggi conservate presso la biblioteca che prende parte del comprensorio del Museo Etnografico di Palermo, istituito da lui nel 1909 allo scopo di custodire e tramandare le memorie e le tradizioni del popolo che aveva tanto tenacemente studiato.
Nella struttura, sita in un’ambiente della Palazzina Cinese fatta costruire dal Borbone all’interno del Parco della Favorita, sono conservati infatti i molteplici reperti raccolti dal Pitrè, che testimoniano lo studio amorevole e paziente delle tradizioni contadine dello scrittore e antropologo. Dai carretti siciliani ai Pupi, dagli utensili legati alla tessitura fino agli arredi, alle ceramiche e ai costumi: il museo conserva la storia della Sicilia popolare ottocentesca, affiancata anche a una sapiente ricostruzione degli ambienti del tempo.
Nel 1903, Pitrè fu nominato Presidente della Reale Accademia di Scienze e Lettere di Palermo, e il 16 febbraio 1909 fu eletto socio dell’Accademia della Crusca.
Nel 1910, Pitrè fu chiamato a insegnare all’Università di Palermo, mentre nel 1914, per i suoi meriti e la sua fama, fu nominato Senatore del Regno d’Italia.
Le sue opere furono tradotte anche in America, con particolare riguardo ai proverbi e le fiabe; da ricordare, è sicuramente la raccolta delle novelle e delle parlate siciliane, del 1875, che sottolineò come vi fosse una radice comune tra le storie che si tramandano oralmente in molte culture del mondo. A questo proposito, un altro esempio è Giufà; personaggio leggendario della tradizione orale contadina dell’Ottocento siciliano, Giufà venne fatto conoscere al mondo dal Pitrè, che ne raccolse le storie in un volume ricco di episodi rocamboleschi, che tenevano a sottolineare la radice comune della sua nascita e conformazione.
Per il suo importante contributo alla storia di Sicilia, ma anche alle origini letterarie d’Italia e del mondo, Giuseppe Pitrè fu d’ispirazione per molti contemporanei, come Salvatore Salomone Marino e Luigi Capuana, ma fu anche una delle fonti principali nella descrizione degli ambienti e dei tratti caratteristici dei personaggi veristi di Giovanni Verga, molto evidenti nelle sue novelle, prima fra tutti “Guerra di Santi”. Giuseppe Pitrè scrisse anche “Palermo cento e più anni fa”, introvabile volume dedicato alla sua città, e poi saggi sul poeta e drammaturgo siciliano Giovanni Meli, sul soggiorno di Goethe a Palermo, e sulla Divina Commedia.
Fu presidente della Società siciliana di storia patria e morì a Palermo il 10 aprile 1916, non prima di essere diventato una pietra miliare della storia di Sicilia.
Autore | Enrica Bartalotta