Chi era Pietro Giammanco? Biografia e carriera del magistrato siciliano, noto per aver ricoperto il ruolo di procuratore capo presso il tribunale di Palermo. La sua attività, i rapporti con Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, il trasferimento.
Pietro Giammanco
Pietro Giammanco nasce a Bagheria, in provincia di Palermo, 13 marzo del 1931. Inizia la carriera in magistratura e, nel 1969, è sotituto procuratore a Palermo, con il procuratore Pietro Scaglione. Diviene negli anni Ottanta procuratore aggiunto, sempre nel capoluogo. Nel mese di giugno del 1990 si insedia ufficialmente come nuovo procuratore capo della Repubblica presso il tribunale di Palermo. Tra i nomi in lizza per la stessa carica, c’era Giovanni Falcone.
In un’intervista del 1996, a proposito dei rapporti tra Giammanco, Falcone e Borsellino, il giudice Antonino Caponnetto, alla domanda di Gianni Minà “Chi ha distrutto il pool antimafia, Meli o Giammanco?”, risponderà:
“Ognuno ha fatto la sua parte. Meli ha contribuito ad anticipare la chiusura dell’Ufficio istruzione, non coordinando più le indagini, esautorando Falcone, emarginandolo, smembrando i processi di mafia e vanificando tutto il lavoro fatto. Giammanco ha fatto la sua parte presso la procura della Repubblica, e ha emarginato anche lui Giovanni, con anticamere imposte, umiliazioni varie che lo portarono a Roma ad accettare un incarico ministeriale per fuggire da questa tagliola palermitana”.
La “stagione dei veleni” a Palermo
Alla fine degli anni Novanta – per la precisione nell’estate del 1989 – la Procura di Palermo è al centro della cosiddetta “stagione dei veleni“, con alcune lettere anonime spedite per screditare l’operato di magistrati come Falcone, Giuseppe Ayala e lo stesso Giammanco. In queste missive, vi erano varie accuse, tra cui quella di una pessima gestione dei pentiti.
La gestione di Gaspare Mutolo, ex autista di Totò Riina diventato collaboratore di giustizia, è motivo di incomprensioni tra Giammanco e Paolo Borsellino. Il pentito richiede alla fine del 1991 di parlare con Giovanni Falcone che, però, ha già accettato un incarico ministeriale a Roma, quindi è delegittimato ad ascoltarlo. A giugno del 1992, dopo la strage di Capaci, Mutolo chiede di parlare con Borsellino, ma questi detiene la delega per le indagini antimafia solo di Trapani e Agrigento.
Alla luce di ciò e nonostante le rimostranze del magistrato, Pietro Giammanco decide di estrometterlo dall’indagine e di assegnare il fascicolo ad altri. Tuttavia, in seguito, il procuratore capo modifica la delega dei magistrati preposti, aggiungendo una clausola che permette loro di confrontarsi anche con Borsellino, che può dunque interessarsi a Mutolo.
Fin dal suo arrivo alla Procura di Palermo come procuratore aggiunto, però, Borsellino avrebbe confidato a diversi colleghi di non sentirsi a suo agio nell’interazione con Giammanco. Dal canto suo, Giammanco ha in diverse occasioni sottolineato la sua trasparenza e la sua indipendenza dalla politica, negando anche difficoltà nei rapporti con Borsellino, descrivendoli al contrario di stima.
La richiesta di trasferimento
Dopo la strage di via D’Amelio, costata la vita a Paolo Borsellino e a cinque agenti della scorta, otto sostituti procuratori (Ignazio De Francisci, Giovanni Ilarda, Antonio Ingroia, Alfredo Morvillo, Antonio Napoli, Teresa Principato, Roberto Scarpinato e Vittorio Teresi) firmano un documento di dimissioni come atto di rivolta contro il procuratore capo, accusato di non garantire un’adeguata condizione di sicurezza per i magistrati.
Questa presa di posizione innesca un conflitto interno alla Procura di Palermo. Interviene il Consiglio Superiore della magistratura e segue un’inchiesta. Il procuratore Pietro Giammanco chiede di essere trasferito ad altro incarico ma, prima della richiesta formale, scrive una memoria difendendosi dalle accuse e sostenendo di aver sempre fatto il suo dovere. Ribadisce di essere stato in ottimi rapporti sia con Giovanni Falcone che con Paolo Borsellino e di non averli ostacolati.
Al suo posto, il 15 gennaio 1993, arriva Gian Carlo Caselli. Anche altri magistrati prendono le distanze dai colleghi “ribelli”, affermando che la gestione di Giammanco era stata corretta. A difenderne l’operato è anche l’ex Presidente della Repubblica Francesco Cossiga. Pietro Giammanco, una volta accolta la sua richiesta, ottiene il trasferimento in una sezione della Cassazione in qualità di consigliere e viene collocato a riposo per anzianità il 2 ottobre del 1999. Muore a Palermo il 2 dicembre del 2018, all’età di 87 anni.