A lungo, parlando di pistacchio siciliano, si è pensato solo alla città di Bronte. C’è stato un momento, però, in cui ha iniziato a farsi strada sempre più anche un’altra eccellenza della Sicilia, prodotta a Raffadali in provincia di Agrigento. Il Pistacchio di Raffadali ha ufficialmente la denominazione DOP e si caratterizza per il suo gusto e le sue qualità. È un ingrediente principe della pasticceria ed è diventato uno dei prodotti più richiesti: ecco perché.
Cominciamo da un po’ di storia. Il pistacchio è originario delle zone aride dell’Asia centrale e ne introdusse la coltivazione in Sicilia Lucio Vitellio nel 30 d.C.. Secondo il celebre botanico Minà Palumbo, furono gli arabi a intraprenderne la coltivazione, tra IX e XI secoli, diffondendola nei terreni proco profondi e calcarei, tipici delle aree interne collinari. Non si hanno molte notizie storiche della presenza del pistacchio nel territorio etneo fino al XVIII secolo, quindi secondo alcuni la prima diffusione in Sicilia sarebbe avvenuta proprio nei territori di Agrigento e Caltanissetta, caratterizzati, appunto, da substrati calcarei. I principali poli di produzione del pistacchio dell’isola sono l’Agrigentino e Bronte, nel Catanese. Ma le curiosità non finiscono qui.
Dato che numerosi terreni agricoli recensiti nei comuni limitrofi a Raffadali sono coltivati da agricoltori raffadalesi, i prodotti vengono assimilati come di Raffadali. Anche il pistacchio coltivato nelle contrade degli agri di Joppolo, Santa Elisabetta, San Biagio Platani, Sant’Angelo Muxaro, Cianciana, Cattolica Eraclea, Agrigento, Favara, Casteltermini, Racalmuto, Aragona e Santo Stefano Quisquina, si inserisce in questo contesto, andando a rappresentare quello che tipicamente viene identificato come pistacchio di Raffadali. Sapete chi ha diffuso il pistacchio in queste località? Ve lo sveliamo subito.
La storia di questo prodotto si intreccia con quella del duca Giovanni Antonio Colonna, ministro delle Poste e Telecomunicazioni e botanico per passione. Fu lui ad aggiungere centinaia di piante di pistacchio alle già floride piantagioni esistenti nei suoi territori di Raffadali e nei comuni limitrofi di Contrada Cinti. Con i prodotti si preparavano dolci che venivano portati a Palermo per allietare le serate della nobiltà palermitana. Durante i lavori del Congresso Nazionale del pistacchio del 1987, Raffadali è stata definita la piazza principale del mercato e del commercio della tignosella (così viene chiamato in gergo il frutto non sgusciato).
Sono tre i motivi che rendono diversi questi celebri pistacchi siciliani. Anzitutto, a Raffadali ci sono diverse cultivar locali, ascrivibili alla Bianca Napoletana quali la Cappuccia e la Grappalora. In secondo luogo, sono diverse le modalità di coltivazione. A Bronte i rami si potano per innalzare la pianta, mentre a Raffadali si lasciano cadere giù. Così i pistacchi agrigentini risultano leggermente più dolci, poiché acquisiscono più olio e grasso dalla terra. La terza differenza è legata al terreno. Quello di Bronte è alle pendici dell’Etna, quindi più lavico e minerale (il pistacchio ha un tocco più acidulo). Quello di Raffadali è un territorio calcareo e sabbioso, che porta i frutti ad una diversa maturazione, anche per il caldo arido e le forti escursioni termiche.