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Il pistacchio è uno dei più antichi alberi coltivati dall’uomo. Si tratta di cugino più “nobile” di lentisco e terebinto, originario dell’antica Persia. Pare che qui si coltivasse già in epoca preistorica, almeno stando a quanto riportato dal trattato del sofista greco Ateneo di Naucrati, che ne parla nel “Banchetto dei sapienti”. Si pensa che nel Medio Oriente lo si usi dal oltre 10mila anni, ma è più probabile che si tratti 3 o 4mila anni. Nella Bibbia si legge che Giacobbe utilizzò come dono pregiato i pistacchi. La regina di Saba ne avrebbe avuto una piantagione a uso esclusivo suo e della sua corte e, ancora, si racconta che Nabucodonosor li facesse coltivare negli splendidi giardini pensili di Babilonia per la moglie Amytis.

I pistacchi arrivarono in Grecia nel VI secolo a.C. con Alessandro Magno. Qualche secolo dopo, sotto il regno di Tiberio, giunsero in Italia e in Spagna. Soltanto nella metà dell’Ottocento, con la conquista araba della Sicilia, il pistacchio trovò una casa sull’isola, alle falde dell’Etna, a Bronte. La pianta cresce in zone collinari e sopporta bene la siccità estiva e il gelo invernale. Non tollera le gelate in tarda primavera. Il frutto è una drupa: si consuma il frutto, chiamato pistacchio così come l’albero. Difficilmente supera gli 8 metri di altezza, ma può vivere fino a trecento anni. Fruttifica ogni due anni e l’anno che gli agronomi chiamano “di scarica” fornisce più vigore alla stagione successiva.

Il pistacchio è diventato un simbolo della Sicilia in tutto il mondo. Si utilizza moltissimo in pasticceria e, in generale, in cucina. I prodotti a base di pistacchio siciliano sono estremamente ricercati, per via del loro sapore. Dalla lavorazione derivano tantissimi prodotti: gelato, biscotti, creme e cioccolato di pistacchio. Andando al salato, irrinunciabile è il pesto di pistacchio, utilizzato per condire la pasta.

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