Si scrive frascatula e si legge polenta. Stiamo parlando polenta declinata con i sapori della Conca d’Oro. Ma non solo. Ad essere diversa, in questo caso, oltre al condimento, è anche la grana dell’impasto che si presenta più ruvida e meno compatto rispetto alla ‘sorella’ del Nord Italia. Scopriamo, di seguito, le antiche radici di questa tradizione e i diversi modi per gustare questo piatto povero dal gusto ricco.
Si tratta di una ricetta tanto semplice, quanto buona che affonda le proprie radici nella cucina povera della tradizione siciliana. Ma non solo. Dal momento che le nostre nonne erano maestre nella preziosa arte di riciclare gli avanzi, questa pietanza (in tutte le sue declinazioni) vi consentirà di utilizzare tanti ingredienti ricchi di sostanze che spesso restano inutilizzati come, ad esempio, l’acqua di bollitura del broccolo, delle bietole o dei finocchi.
La frascatula Siciliana ha una storia molto antica che risale ai tempi dell’antica Roma. Si presenta come una polenta di farina di grano duro, di cereali o legumi, che veniva preparata come una densa minestra dal nome di puls (polenta) in cui si potevano trovare verdure e carne. In seguito fu importata nei territori siciliani dove divenne un piatto popolare e poverissimo. Il nome frascàtula il cui termine deriva dal francese “flasque” significa molle, che si riferisce proprio alla consistenza di questa polentina caratterizzata dalla grana spessa e consistente.
Secondo tradizione la frascatula, infatti, si cucina utilizzando l’acqua di cottura delle verdure invernali da cui si origina un piatto delizioso, saporito e molto nutriente con pochissimi ingredienti. Dal momento che si tratta di un piatto povero cucinato con gli avanzi, non esiste una ricetta esatta con ingredienti pesati perché molto dipende dalla quantità di verdure che vi avanza dalla preparazione dei broccoli, delle bietole lesse o del minestrone di verdure invernali.
La Frascatula Siciliana più che un unica ricetta può essere definita una preparazione dal momento che viene cucinata in tutta l’isola con numerose varianti in base al luogo e alla stagione. È possibile, infatti, trovare ricette a base di una sola verdura o con più verdure come: broccoli, cavolfiore, biete e finocchi.
La frascatula è la pietanza tipica del paesino di Sperlinga nella provincia di Enna, il comune più alto d’Europa, s chiamato l’ombellico della Sicilia per la sua posizione centrale nell’isola. A Troina si chiama piciocia ed è a base di farina di ceci, cicerchie (rumanedda) e cardi, Ad Enna si chiama paniccia e veniva preparata con grano timilia; A Leonforte viene invece utilizzata una farina derivata dalla “fava larga” tipica di quelle parti. A Nicosia il nome è picciotta e si usa una farina di cereali e legumi misti.
A Trapani prende il nome di ”frascatuli” ed è una variante del couscous: la semola viene “incocciata”, fino a formare i granelli più grossi di quelli del cuscus tradizionale, e poi cotta con il cavolfiore. A Modica, invece, si prepara una polenta con solo farina acqua sale e pepe e qualche pezzetto di formaggio pecorino. La frascatura siciliana è diffusa anche nell’agrigentino e nel nisseno.
Lo storico siciliano Michele Amari parla della frascatula nella sua “Guerra del Vespro” e racconta che durante l’assedio di Messina da parte delle truppe francesi, le donne siciliane sostenevano i propri uomini durante la battaglia “dispensando pane e polenta, dissetandoli d’acqua, mescendo vini”.
La frascatula è adatta ai vegetariani e ai vegani perché viene condita soltanto con erbe spontanee, come cicoria, borragine, bietole, asparagi, finocchietto, cavolicelli ma anche con verdure coltivate, come broccoletti, cavolfiori e cime di rapa. Successivamente il piatto è stato arricchito con ingredienti di origine animale come salsiccia, lardo o pancetta.