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Tradizioni siciliane della Festa dei Morti: perché la Pupaccena si chiama così?

La Festa dei Morti è una ricorrenza molto sentita in Sicilia e, tra le tradizioni che ancora sopravvivono, c’è quella di regalare ai bimbi giocattoli e dolci nel giorno del 2 novembre. Un tempo, tra le leccornie più apprezzate, c’erano i pupi di zucchero o “Pupaccena“: anche se oggi non se ne vedono più tanti, restano comunque in molti ricordi.

I pupi di zucchero sono delle figure, anche abbastanza grandi, realizzate in zucchero, che hanno la forma di svariati personaggi, primi tra tutti i Paladini di Francia: sono vere e proprie sculture commestibili, coloratissime. La loro origine è legata a due leggende.

La prima ha per protagonista un nobile arabo, caduto in miseria che, avendo degli ospiti e non potendo offrire loro cibo prelibato, offrì loro dei dolci dalla forma umana da cui deriva appunto il nome di “pupi a cena”, poi divenuto “pupaccena”. Stando alla seconda, invece, questi dolci risalirebbero al 1574, quando a Venezia, in occasione della visita di Enrico III, figlio di Caterina de’ Medici, fu organizzata una cena resa indimenticabile da sculture di zucchero. A trasportare quelle sculture nella città veneta, furono dei marinai palermitani che, al loro ritorno nell’isola, raccontarono il successo delle creazioni. Così i dolcieri iniziarono a riprodurle.

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Il nome deriva dal fatto che sono dei “pupi di e per la cena-sacra“, da mangiare con uno stato d’animo rivolto alla spiritualità. Molti studiosi e antropologi ne hanno studiato il significato, ricollegandolo all’usanza del banchetto funebre del cunsolo. Per alcuni c’è un richiamo a Mania, madre o nonna degli spiriti, a cui si offrivano dei pupazzi di lana appese sulle porte di casa o nei quadrivi, per far sì che in quel giorno le anime erranti dei morti prendessero le effigi sulla porta, lasciando in pace le persone della casa. Nelle case siciliane, invece, i dolci venivano disposti sulla tavola, diventando cibo da regalare ai più piccoli. Foto pupaccena: di OppidumNissenae – Opera propria, CC BY-SA 3.0.

Redazione