La Sicilia ha un nuovo beato, che si festeggerà ogni anno il 29 ottobre. Il cardinale Montenegro ha proclamato Rosario Livatino, ucciso dalla mafia il 21 settembre del 1990. Il reliquiario in cui è contenuta la camicia che indossava nel giorno in cui avvenne il delitto, si trova adesso in una teca della Cattedrale di Agrigento. Si tratta del primo magistrato che diventa beato. Lavorava al Tribunale di Agrigento, occupandosi prevalentemente di sequestri e confische di beni sottratti ai mafiosi. A decretarne la condanna furono gli uomini della Stidda, organizzazione mafiosa agrigentina: quattro persone sono state condannate all’ergastolo. Si trattò di un delitto che, secondo le autorità vaticane, avvenne “in odio alla fede” di Livatino: riconosciutone il martirio, quindi, è stato proclamato beato. Conosciamo meglio la sua storia.
Rosario Livatino era definito dai mafiosi, con spregio, un “santocchio“, per la sua frequentazione della Chiesa. Nel decreto del martirio si legge che era ritenuto inavvicinabile dai suoi persecutori, “irriducibile a tentativi di corruzione proprio a motivo del suo essere cattolico praticante“. Dalle testimonianze, anche del mandante dell’omicidio, e dai documenti processuali, emergono i dettagli che hanno condotto alla beatificazione.
“L’avversione nei suoi confronti – si legge – era inequivocabilmente riconducibile all’odium fidei (odio della fede)”. Inizialmente i mandanti avevano pianificato l’agguato “dinanzi alla chiesa in cui quotidianamente il magistrato faceva la visita al Santissimo Sacramento”. Ecco le parole presenti in uno scritto del “giudice ragazzino”, così come è stato soprannominato: “Il compito del magistrato è quello di decidere. Orbene, decidere è scegliere e, a volte, tra numerose cose o strade o soluzioni. E scegliere è una delle cose più difficili che l’uomo sia chiamato a fare. Ed è proprio in questo scegliere per decidere, decidere per ordinare, che il magistrato credente può trovare un rapporto con Dio”.
Il beato siciliano fu ucciso il 21 settembre del 1990, sulla SS 640 Caltanissetta-Agrigento, all’altezza del viadotto Gasena. Si stava recando, senza scorta, in tribunale. Era a bordo della sua vettura, una Ford Fiesta color amaranto, quando fu speronato dall’auto dei killer, 4 uomini della Stidda (organizzazione mafiosa agrigentina). Tentò una fuga a piedi attraverso i campi limitrofi ma, già ferito, fu raggiunto dopo poche decine di metri e freddato a colpi di pistola. In seguito al delitto, gli investigatori impiegarono mesi per decodificare l’acronimo “S.T.D.”, presente su appunti, documenti e quaderni del magistrato.
Si trattava di un affidamento che Rosario Livatino faceva a Dio. Le tre lettere, infatti, stavano per “Sub Tutela Dei“, cioè “Sotto la protezione del Signore“. Era un principio ispiratore della sua vita, segno di profonda spiritualità. Papa Francesco, nel 2019, lo ha definito “un esempio luminoso di come la fede possa esprimersi compiutamente nel servizio alla comunità civile e alle sue leggi; e di come l’obbedienza alla Chiesa possa coniugarsi con l’obbedienza allo Stato, in particolare con il ministero, delicato e importante, di far rispettare e applicare la legge“.