Il culto di Santa Rosalia è profondamente sentito a Palermo e affonda le radici soprattutto negli avvenimenti del 1624, pur essendo molto più antico.
Fu proprio nel 1624, infatti, che la Santa salvò Palermo dalla peste e ne divenne la patrona, esautorando, difatti, gli altri patroni della città, tra cui Cristina, Oliva, Ninfa e Agata.
Mentre infuriava una terribile epidemia arrivata in città il 7 maggio 1624 da una nave proveniente da Tunisi (antica “Barbaria”) presso l’antico altare dedicato alla Santa, accanto ad una grotta sul Montepellegrino, avvenne un fatto straordinario. Venne rivelato in visione a Girolama La Gattuta il luogo dove si trovavano i resti mortali di Santa Rosalia. Questi, trovati il 15 luglio 1624, vvennero portati nella camera del cardinale Giannettino Doria, Arcivescovo di Palermo.
In seguito, il 13 febbraio 1625, la Santa apparve a un povero ‘saponaro’, Vincenzo Bonelli, che viveva barattando mobili vecchi. Avendo perso la giovane consorte quindicenne a causa della peste nera, era salito sul Monte Pellegrino sul far della sera con l’intento di gettarsi giù dal precipizio prospiciente il mare per farla finita.
Al momento di mettere in atto il suo triste intento, gli apparve innanzi una splendida figura di giovane donna. Questa lo dissuase dal suo proposito, portandolo giù con sé al fine di mostrargli la sua grotta. Lo condusse nei pressi dell’antica Chiesa di S. Rosolea, già allora esistente e dove la si venerava da antica data, nei pressi della famosa grotta che ella gli indicò come la sua “cella pellegrina”.
Scese con lui dalla cosiddetta “Valle del Porco” verso la città, esortandolo a pentirsi. Inoltre lo invitò a informare il Cardinale Giannettino Doria che non si facessero più “dispute e dubbii” sulle sue ossa e che, infine, venissero portate in processione per Palermo.
Lei, Rosalia, aveva già ottenuto la certezza, dalla gloriosa Vergine Madre di Dio, che, al passaggio delle sue ossa e al momento preciso del canto del Te Deum Laudamus, la peste si sarebbe fermata.
Rosalia gli disse inoltre: “E per segno della verità, tu, in arrivare a Palermo, cascherai ammalato di questa infermità [la peste] e ne morrai, dopo aver riferito tutto ciò al Cardinale: da ciò egli trarrà fede a quanto gli riferirai”. Tutto questo il povero “saponaro” Bonelli lo raccontò al suo confessore, padre Don Pietro Lo Monaco, parroco della Chiesa monumentale di Sant’Ippolito Martire al Capo, che glielo fece riferire subito al Cardinale di Palermo.
Il cardinale, constatando che realmente il Bonelli si era improvvisamente ammalato di peste e ne stava di lì a breve morendo – gli diede credito e, il 9 giugno 1625 fece fare una solenne processione con le reliquie ritrovate l’anno prima, liberando immediatamente durante la processione delle sante reliquie di Rosalia la città di Palermo dalla peste.
Il culto della Santa è tuttavia attestato da documenti a partire dal 1196, ed era diffuso già nel XIII secolo (antichissimo altare a lei dedicato nell’antica cattedrale gualtieriana). La si pregava inoltre con la frase “Sancta Rosalia ora pro nobis”, le erano state costruite due chiese, o cappelle, a Palermo: una sul Monte Pellegrino, chiamata di “Chiesa di S. Rosolea”, vicino o davanti alla grotta stessa, l’altra nell’attuale quartiere dell’Olivella, dove sorgeva la casa del padre di Rosalia, Sinibaldo.
Vi sono anche numerosissimi dipinti medievali che la raffigurano insieme ad altri santi oppure come soggetto unico, una statua marmorea di Antonello Gagini, una volta posta all’interno della Tribuna della Cattedrale, realizzata dallo stesso Antonello, e oggi denominata “Santa Caterina da Bologna”, e infine una statuetta reliquiaria cinquecentesca di Scuola Gaginiana che la raffigura in abiti francescani (anche se la Santa non appartenne al suddetto ordine – successivo alla sua morte – ma bensì all’antico ordine che seguiva la Regola di San Basilio Magno, appunto basiliano), che oggi si trova al Palazzo Abatellis.
Poiché la memoria della Santa palermitana nel 1600 lasciava ancora qualche residuo nelle litànie, la riscoperta del suo corpo glorioso sul Monte Pellegrino incastonato in un involucro di roccia cristallina (che poco dopo si scoprì essere calcarenite) e la successiva rivelazione al Card. Doria del racconto del povero Bonelli con la conseguente liberazione della città dall’epidemia, ne sancì il definitivo e popolare patrocinio, ratificato a Roma sotto il pontificato di Papa Urbano VIII Barberini.