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Chi è Santino Di Matteo. Biografia del collaboratore di giustizia, padre di Giuseppe Di Matteo. Dove è nato, cosa ha fatto, quando è stato rapito il figlio, come è stato ucciso il piccolo Giuseppe. Quanti anni ha adesso, cosa fa oggi.

Santino Di Matteo

Mario Santo Di Matteo, noto come Santino Di Matteo, nasce ad Altofonte, in provincia di Palermo, il 7 dicembre del 1954, quindi ha 68 anni. Appartenente alla famiglia di Altofonte, vicina ai Corleonesi, è uno dei primi affiliati ad abbandonare il clan che fa capo a Totò Riina. Lo arrestano il 4 giugno del 1993: è prima incarcerato nal carcere di Rebibbia, poi trasferito all’Asinara.

Accusato di 10 omicidi di stampo mafioso, decide di collaborare con la giustizia ma, il 23 novembre dello stesso anno, il figlio Giuseppe Di Matteo viene rapito. Le indagini e i processi indicano i responsabili del rapimento in Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca, Giuseppe Graviano e Matteo Messina Denaro per le rivelazioni del padre sulla strage di Capaci e sull’uccisione dell’esattore Ignazio Salvo.

Rapimento e omicidio del figlio Giuseppe

La vicenda del rapimento e dell’omicidio del figlio di Santino Di Matteo è considerato come uno dei crimini più efferati di Cosa Nostra. Il ragazzino, abituato a una vita sportiva e all’aria aperta, rimane prigioniero a lungo.

Per tutto il 1994 i suoi aguzzini lo spostano in diverse prigioni nel Palermitano, nel Trapanese e nell’Agrigentino: si tratta per lo più di masserie o edifici disabitati.  Nell’estate del 1995, lo rinchiudono in un vano sotto il pavimento di un casolare-bunker, costruito nelle campagne di San Giuseppe Jato, al quale si accede tramite un meccanismo elettromeccanico.

Il padre Santino, nell’ottobre del 1995 , sparisce per trentasei ore dalla sua località segreta, alla ricerca di suo figlio, senza però riuscire a trovarlo. Il ragazzo va incontro a una terribile morte: viene strangolato e disciolto nell’acido l’11 gennaio del 1996, dopo 779 giorni di sequestro in condizioni terribili.

Santino Di Matteo oggi

Ho pagato con la mia coscienza una scelta sbagliata. E quando ho cercato di porre rimedio, scegliendo la collaborazione con lo Stato, ho dovuto subire la più vigliacca delle vendette, perdendo un figlio bambino”, dirà in seguito Santino Di Matteo.

Di Matteo è testimone al processo sui mandanti della strage di Capaci, di cui è uno degli artefici, anche non partecipa attivamente all’esecuzione dell’attentato in cui perdono la vita Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta, Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani. Inizialmente condannato a vent’anni di carcere, viene liberato nel marzo del 2002.

In un articolo pubblicato su La Repubblica nel 2018, con alcune dichiarazioni di Santino Di Matteo si legge:

“Io ho sbagliato, lo so – dice lui – ma quante vite ho salvato con le mie dichiarazioni”. Oggi, Santino mezzanasca vive lontano dalla Sicilia, lavora nella comunità di accoglienza gestita da un giovane e coraggioso sacerdote. “Aiutiamo le persone che hanno più bisogno – spiega l’ex sicario di Cosa nostra – tossicodipendenti, disoccupati, senzacasa, immigrati. È la mia nuova vita. Oggi, mi interessa solo vivere tranquillo. Ma il ricordo di mio figlio Giuseppe è sempre presente”. Racconta dell’ultima telefonata, qualche tempo prima del rapimento: “Mi diceva: ”Papà, come stai? Papà, non ti preoccupare”. Era lui che faceva coraggio a me. Aveva il dono del sorriso. E me l’hanno ammazzato. Loro che i pentiti li avevano dentro casa, Bagarella ne aveva due. Pagheranno per quello che hanno fatto. Usciranno dal carcere come Riina, tutti morti. Ma quali uomini d’onore, sono solo la schifezza dell’umanità“.

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