Gianni Sutera ripercorre, con le immagini, una realtà sbiadita dagli anni.
Scatti sta per fotogrammi, vagabondo per tutte le volte, attrezzi alla mano, che girovagava per le vie del paese a riprendere le situazioni più disparate. Lo scemo del villaggio, la signora trafelata a ritirare i panni, i bambini vocianti che correvano per le strade, i vecchi, severi inquisitori della dissolutezza dei tempi moderni.
Immagini arcaiche, se vogliamo, poiché andavano modificandosi i costumi di una popolazione sempre più in minoranza e svezzata dalle mode televisive del momento. Erano le tiepide primavere, di voli bassi di rondini e di canzoni di Sanremo provenienti dai balconi barocchi. Siamo nella seconda metà degli anni settanta e agli inizi degli anni ottanta.
Anni miserabili quelli. Gli anni del terrorismo, delle proteste e dei conflitti generazionali; del femminismo, in un contesto arretrato, dove partecipare alle feste dell’Unità voleva dire essere puttane, drogati e qualche volta anche froci.
Anni che hanno visto morire miseramente Peppino Impastato; un periodo cruciale, di fase acuta e poi di dimenticanza, dei movimenti che avrebbero cancellato per sempre le consuetudini della generazione dei nostri padri, dei nostri nonni. Gianni Sutera, ai molti militellesi conosciuto come il fotografo ufficiale, il documentarista del circondario pubblica alcuni fotogrammi, rappresentativi di un epoca, che sembra remota, lontana nel tempo.
In quegli anni, la sua generazione, di figli persi nel mondo, sperimentava per prima tutte le trasgressioni importate, attraverso la musica, la moda, il pensiero dei giovani che non avrebbero voluto un’altra guerra del Vietnam. Con questo libricino invece rivive attraverso le sue foto una realtà parallela, fuori da ogni logica temporale, che fortemente ha influenzato le nostre personalità, e per dirla in una maniera colta, la nostra sicilianitudine.
Anche i giovani di allora, quelli di paese, sognatori e trasgressivi (dove trasgressione era lanciare le pietre al balcone della bella amata, senza svegliare il parentado e incorrere allo spauracchio di un matrimonio riparatore…) a loro modo, sperimentavano sulla loro pelle una sorta di emarginazione sociale, feroce, da parte di chi non avrebbe voluto nessun progresso e nessuna emancipazione. A distanza di molti anni, con la testa pensante di adulto ed il cuore lacerato di nostalgia, quelle scene di vita quotidiana, gli ritornano in mente con prepotenza, ambiscono di venire fuori dai fondi dei cassetti.
E’ sempre difficile e amaro fare i conti con il passato. Fa male, fa bene, Gianni Sutera lo ha fatto comunque per dovere di cronaca, per volere scoperchiare il vaso e liberare i fantasmi di un passato, ripensandoci, non troppo lontano. Dopo quasi trent’anni molte cose sono cambiate a Militello in Val di Catania, tanti sono partiti, andati via per sempre, anche dalla vita; altri vorrebbero ritornare, ma diventa difficile sopportare la vista delle strade rugate dal tempo, dalla vecchiaia che tutto cambia. Dalle folate di vento di una memoria sbiadita ecco evocare allora i mestieri antichi, l’aggregazione semplice di una comunità senza grandi pretese, senza ambizioni diverse dal rivedere il giorno dopo farsi nuovo.
E’ facile ritrovarsi, è facile non riconoscersi più, tra i dettagli in bianco e nero di una tecnica fotografica legata al reportage, alla comunicazione di massa ad ogni costo. Scrivere attraverso le immagini fotografiche – ha detto Ferdinando Scianna – conservare, documentare, senza parole, i contrasti di un epoca fortemente legata ai rituali, alle stagioni, ai cicli della campagna.
Un lavoro rigoroso, che rende l’idea del passare del tempo, ma amputato sotto certi aspetti, da ogni commento, dalla scrittura dell’autore, a mio avviso necessaria, che avremmo voluto presente anche attraverso la parola scritta, il pensiero, il racconto delle inevitabili curiosità legate a quel momento fotografico.
Avrebbero dovuto dissipare ogni dubbio, ogni rimando faticoso alla memoria storica di ognuno. Oppure era giusto lasciare spazi bianchi, da riempire con il personale commento, tra noi e la fotografia, tra noi ed il tempo lontano che è stato.