Penso che dopo aver letto il saggio “La scimmia che siamo” dell’etologo olandese Frans de Waal, si debbano rielaborare le convinzioni circa la purezza e l’innocenza originaria degli esseri umani, che ci si debba ricredere circa il cosiddetto mito del buon selvaggio. A quanto pare, infatti, similmente al comportamento degli scimpanzé coi quali condividiamo più del 99 % dei geni, la violenza, l’aggressività, il bisogno di dominio e di potere realizzati a tutti i costi, anche quello dell’assassinio, sono degli istinti iscritti nei nostri geni.
Nel nostro cervello, infatti, abbiamo una parte arcaica o paleocorteccia dove risiedono tutti quegli istinti primordiali di sopravvivenza, che servivano maggiormente quando l’uomo viveva allo stato selvaggio. Oggi molti di quegli istinti non si utilizzano più, per fortuna, grazie al grado di civiltà fin qui raggiunto; ma sono sempre presenti, allo stato latente, nella paleocorteccia. Nella neocorteccia, invece, sono presenti tutte quelle nobili facoltà superiori, che hanno permesso la netta differenziazione dell’uomo da tutto il regno animale.
Come l’uomo, gli scimpanzé possiedono una notevole intelligenza sociale, che spesso si estrinseca in maniera davvero diabolica. Sono molto aggressivi e come l’uomo sanno tessere alleanze, spesso sleali, per ottenere vantaggi personali. Sanno coalizzarsi – dimostrando una notevole intelligenza e furbizia pur essendo privi di un linguaggio vero e proprio – con altri membri del gruppo, ad esempio per sconfiggere con molta più probabilità di successo gli individui con cui concorrono per il posto di maschio dominante. Fanno letteralmente politica, di quella sporca per giunta, diventando dei politici senza scrupoli. Arrivano persino all’assassinio premeditato pur di raggiungere gli obiettivi di dominanza. Al di fuori dell’uomo e dello scimpanzé, e a volte dei cani, nel resto del regno animale difficilmente si arriva ad uccidere un individuo della stessa specie unendosi in forze. Per far ciò è necessaria una grande capacità sociale unita a una malvagità prettamente umana, è proprio il caso di dirlo, o scimpanzesca a questo punto.
Anche i bonobo, un’altra specie di scimmia antropomorfa, simile allo scimpanzé ma molto più aggraziata, con una stazione eretta e un’andatura incredibilmente umane, possiedono una notevole intelligenza sociale e vivono in gruppi gerarchicamente strutturati con un maschio e una femmina dominanti. A differenza dello scimpanzé però, il bonobo è molto meno aggressivo; anzi è estremamente pacifico. Quando accadono delle situazioni di tensione, cosa abbastanza probabile vivendo in comunità numerose, le risolvono facendo sesso estremamente libero e fantasioso con tutti i membri del gruppo, e tutti amici come prima. Praticamente vivono di sesso il quale, oltre ad adempiere alla funzione prettamente riproduttiva, diventa, in un modo davvero singolare ed esclusivo, un sistema molto civile, estremamente delizioso e non violento di risolvere i conflitti interni della comunità.
L’uomo forse, essendo una specie con una psicologia molto più complessa e fortemente influenzata oltre che da fattori genetici anche da quelli ambientali, è un po’ scimpanzé e un po’ bonobo, cioè, a volte cattivo e altre buono, a seconda delle circostanze e soprattutto dell’ambiente familiare e sociale in cui viene educato. L’uomo in generale, difatti, è capace di esprimere i peggiori istinti in società, ma è anche capace di gesta nobilissime che ci rendono orgogliosi di appartenere al genere umano. L’uomo è istinto e ragione, è animale ma nel contempo dotato di un’anima che se coltivata lo innalza ad alte vette spirituali. L’uomo che intraprende un percorso spirituale arriva a una condizione in cui naturalmente abbandona la modalità sopravvivenza tipica del mondo animale per lasciare spazio alla modalità compassione, alla modalità altruismo, dove il cuore e la ragione collaborano magnificamente verso un unico fine: il bene dell’umanità. L’uomo che non lo intraprende oscilla modestamente tra le due modalità, in base alle circostanze, dove la ragione, soprattutto le proprie ragioni di sopravvivenza, o quelle del proprio ristretto gruppo sociale, prevalgono sul cuore, sull’altruismo. Gran parte dell’umanità appartiene a questa seconda categoria. La terza, molto più patologica, annovera coloro che psicopaticamente, schizofrenicamente, scindono i due aspetti, dove la ragione non riesce più a controllare l’istinto che follemente lanciato prevale malvagiamente e pericolosamente contro gli altri individui. Tale condizione umana l’ha espressa molto bene in letteratura lo scrittore inglese R. L. B. Stevenson nel suo celeberrimo racconto: Lo strano caso del Dr. Jekyll e Mr. Hyde.
Naturalmente, anche negli animali, specie nei mammiferi, esiste questa scissione della personalità in comportamenti contrapposti nello stesso individuo, senza ovviamente l’elemento patologico descritto nel racconto prima citato, ma appunto manifestandosi in maniera del tutto sana, naturale e sempre utile per la sopravvivenza. L’animale sa uccidere per sopravvivere e nel contempo è capace di accudire amorevolmente i suoi cuccioli. Ma nell’uomo tale scissione può degenerare nella patologica personalità multipla, a causa della sua psiche molto più complessa, e generare comportamenti molto più estremizzati e spesso perversi, quindi disutili per sé e pericolosi per la società (lasciando in questa sede inesplorate le cause fisiologiche, ereditarie o traumatiche, le quali possono pure verificarsi, nel mal funzionamento della chimica del cervello). Perciò un uomo può divenire tanto un pericolosissimo psicopatico quanto un Santo – o Illuminato che dir si voglia – a seconda dello stile di vita praticato, attraverso il quale si può enfatizzare l’uso della paleocorteccia o quello della neocorteccia. Normalmente la maggioranza degli uomini resta medio, comune, a volte mediocre, a volte colto, anche civile e onesto, oppure colto ma incivile e criminale. In ogni caso però rimane spiritualmente povero e quindi più egoista che altruista, più in modalità sopravvivenza che in compassione, in empatia. Il mondo oggi è questo, forse un tantino migliore che nel passato, ma ancora in modalità sopravvivenza se ancora ci sono ingiustizie, sfruttamenti, violenze inaudite e guerre. Stento a comprendere in quale categoria collocare i potenti che permettono e provocano tutto ciò. Non penso che siano degli psicopatici, ma la loro modalità è spostata interamente sulla modalità sopravvivenza e la loro “ragione” prevale totalmente sul loro cuore, sull’empatia, restando o diventando freddi e spietati. C’è ancora molto da migliorare per il progresso del genere umano.
Se un bambino vive in un ambiente familiare e sociale sano e viene educato con buoni valori e fatto oggetto prevalentemente di amore e attenzioni, l’istinto arcaico ferino rimarrà latente in qualche parte del cervello primitivo e molto probabilmente non si manifesterà mai, e da adulto avrà comportamenti sempre ispirati da amore, empatia e onestà morale, e potrebbe anche essere un ottimo candidato verso il cammino spirituale. La religione qui non c’entra, altrimenti il mondo sarebbe un Paradiso in Terra, considerato l’alto numero di fedeli e di cosiddette guide religiose o spirituali. Dunque, dicevo candidato spirituale, tranne che sia costretto in una situazione di pericolo grave per sé o per la propria famiglia, e in tal caso uscirà lo scimpanzé più aggressivo e se necessario anche omicida per autodifesa, giacché l’istinto di conservazione predomina su tutto, senza ciò configurarsi necessariamente come atto psicopatologico o criminale: in giurisprudenza, infatti, la legittima difesa è chiaramente contemplata. Mentre, se un bambino si trova a vivere in un ambiente degradato e violento, il suo lato più oscuro si paleserà presto fin dalla più tenera età, di una pericolosità sociale direttamente proporzionale al degrado in cui cresce, e diverrà il leit motiv della sua condotta futura. Si trasformerà con molta probabilità in un asociale, un disadattato o, peggio, in un pericoloso criminale, in un serial killer e in quanto di peggio può esistere nell’infinita gamma dei comportamenti umani, proprio grazie alla straordinaria capacità immaginativa del suo cervello.
Comunque, finché l’uomo rimarrà nella seconda modalità, cioè la normale sopravvivenza, sconfinando ogni tanto nella prima, quella della compassione, o peggio, in alcuni casi più limitati, nella terza, senza tentare di entrare più stabilmente nella compassione, nell’altruismo disinteressato, autentico e non quello di facciata che serve solo a ostentare e a sgravarsi la coscienza, il mondo non potrà mai progredire stabilmente verso il bene.
Angelo Lo Verme