Scoperta la più grande fornace della Magna Grecia: si trova a Selinunte, nel territorio del comune di Castelvetrano, ed è grande 1.200 metri quadrati.
«È da anni che ci lavoriamo. Basandoci su prospezioni geofisiche abbiamo iniziato lo scavo dell’officina nel 2010.» Parla Martin Bentz, direttore degli scavi ancora in atto nell’antica città di Selinunte, e professore dell’Università di Bonn, che in questi mesi, assieme al suo team di studiosi ed esperti ha portato alla luce un sito produttivo di rilevanza storica impensabile: la fornace più grande della Magna Grecia.
Il sito occupa infatti una superficie complessiva di oltre un chilometro quadrato, con cavità larghe più di 5 metri di diametro, destinate alla cottura dell’argilla, che poi veniva modellata per la realizzazione di materiali fittili, ovvero vasellame per utilizzo quotidiano o per il commercio.
La grande città greca di Selinunte venne eretta nel V secolo a.C. ed ebbe vita breve. Ma in quei 240 anni raggiunse uno splendore e una ricchezza unici: si contavano 100.000 abitanti ed esemplari giunti fino a noi di moneta propria.
Nelle indagini conoscitive messe appunto dall’Università di Bonn, sono stati ritrovati, oltre alle cinque fornaci, anche attrezzi dedicati alla lavorazione dei materiali, e un piccolo saccello, ovvero una figura in terracotta scolpita con le sembianze di una dea protettrice dei lavoratori.
Il sito produttivo, che rispetto alle comuni fornaci greche è grande almeno il doppio, si è aggiudicato il titolo di complesso artigianale più vasto di tutta la Magna Grecia.
Sul suo territorio, sono inoltre stati ritrovati degli spessi strati di bruciato, non dovuti alla lavorazione, a conferma che la città venne rasa al suolo dai Cartaginesi nel 409 a.C., come confermano anche i rocchi abbandonati nelle vicine Cave di Cusa.
In realtà, Selinunte venne successivamente ripopolata dal siracusano Ermocrate e nuovamente ricostruita dopo l’eccidio da parte delle armate cartaginesi; la sua definitiva evacuazione non avvenne che in periodo punico, con il progressivo trasferimento della popolazione verso Lilibeo, città cartaginese sorta nei pressi dell’odierna Marsala.
Si hanno notizie di qualche modesto insediamento in epoca successiva, e di un tentativo di rinascita messo in atto dagli Arabi; ma Selinunte venne definitivamente distrutta a causa di un terremoto, in epoca bizantina.
L’antica città venne riportata alla luce solo una volta eseguiti i primi scavi, da parte degli Inglesi, agli inizi dell’Ottocento, e, in epoca più recente, con l’istituzione del Parco Archeologico di 40 ettari con l’acropoli, la necropoli e le tre colline su cui sorgevano altri templi, il Santuario della Malophòros, e l’abitato.
Oggi il Parco è visitabile, e include anche le vicine Cave di Cusa, ovvero il luogo in cui gli operai greci andavano a rifornirsi e a lavorare il materiale che serviva per realizzare i templi. Grazie agli interventi di anastilosi effettuati nel secolo scorso, è possibile ammirare il Tempio E, sulla collina orientale, e il Tempio C, parzialmente innalzato come in origine, disposto sull’acropoli.
Intorno: i resti di altri luoghi sacri, oltre a ciò che rimane della necropoli e dell’abitato.
Molti dei reperti ritrovati a Selinunte sono oggi conservati presso il Museo Archeologico Regionale di Palermo, “Antonio Salinas”, fatta eccezione per l’Efebo, raro esempio di statua in bronzo d’epoca ellenistica, che oggi è possibile ammirare al Museo civico di Castelvetrano, in provincia di Trapani.
Autore | Enrica Bartalotta
Foto di Sara Di Nardi.