Alla fine del 2014 il mare di Gela, l'antica colonia rodio-cretese fondata agli inizi del VII sec. a. C., ha restituito uno fra i più importanti tesori custoditi nei fondali sabbiosi di fronte il litorale di contrada Bulala, dove già sono stati ritrovati tre relitti di età greca.
Si tratta di un prezioso carico trasportato da un’antica nave naufragata a qualche centinaio di metri dalla costa gelese ad una profondità di circa cinque metri, costituito da trentanove lingotti di un metallo particolare, chiamato “oricalco”, una lega di rame e zinco simile al nostro ottone, considerato nell’antichità un metallo prezioso, al terzo posto per valore commerciale dopo l'oro e l'argento. La scoperta è tra le più importanti di questi ultimi anni sia perché costituisce un unicum come ritrovamento sia perché i reperti finora conosciuti forgiati con questa lega sono molto rari.
Il più antico oggetto in ottone è un anello proveniente da Ugarit del XIII secolo a.C.; altri due reperti sono custoditi al British Museum: una fibula a navicella del VI secolo a.C e una base di statuetta di pugilatore del V secolo a. C.
Poche sono le notizie che ci forniscono le fonti antiche su questo metallo e sul suo utilizzo.
Il termine greco ὀρείχαλκος da (ὅρος, monte e χαλκός, rame) è già attestato nell'Inno ad Afrodite, un proemio pervenutoci sotto il nome di Omero, nel quale si racconta la nascita di Afrodite dalla spuma del mare; la divinità, per essere presentata al consesso degli Dei, viene accudita dalle Ore, figlie di Zeus, che le fanno indossare vesti divine adornandone i lobi con “fiori di oricalco”; altresì, il termine è riportato in un poema attribuito ad Esiodo, Lo scudo di Eracle, dove sono citati gli schinieri “di lucido oricalco, d'Efesto bellissimo dono”.
Platone nel Crizia ci parla dell'oricalco in relazione alla mitica e misteriosa isola di Atlantide, che gli dei avevano dato a Poseidone così chiamata dal nome del figlio maggiore, Atlante; l'isola sacra, una sorta di paradiso terreste, era fornita di tutto il necessario per vivere e offriva, inoltre, minerali, metalli e oricalco, “ che oggi è solo un nome ma che allora era più di un nome, estratto dalla terra in molte parti dell'isola e, ad eccezione dell'oro, era stimato il metallo più prezioso fra gli uomini di allora”. Era utilizzato in molte costruzioni: la terza cinta muraria che circondava la cittadella era ricoperta con “oricalco dai riflessi di fuoco”; il tempio sacro dedicato a Poseidone, posto al centro dell'isola, aveva il soffitto d'avorio e ornato con oro, argento e oricalco; anche le pareti, le colonne e il pavimento erano rivestite in oricalco. Infine i decreti stilati da Poseidone, che regolavano la vita di Atlantide, erano stati incisi su una colonna di oricalco che era situata all’interno del tempio dedicato al dio.
In epoche successive anche gli autori latini ci forniscono generiche informazioni sul prezioso metallo; in età romana imperiale la lega era utilizzata per la coniazione di alcune monete quali, ad esempio, i sesterzi.
I trentanove lingotti presentano varie forme e hanno peso e lunghezza diversi: da un minimo di cm17 e un peso di gr 254 a un massimo di cm 32 e un peso di gr 1340.
Le analisi sono state effettuate da Dario Panetta della TQ (Tecnology for Quality) con il metodo della fluorescenza a raggi X dalle quali risulta che la lega dei metalli di cui sono composti i lingotti è costituita per l’80% da rame e per il 20% di zinco con tracce di piombo e nichel.
La presenza di porzioni lignee di fasciame e di alcune ordinate che emergono dai fondali nelle immediate vicinanze dei lingotti fa ipotizzare che gli stessi fossero parte del carico trasportato dalla nave in arrivo a Gela che fece naufragio a pochi metri dalla costa.
Il rinvenimento di questo relitto e di parte del carico dimostra la ricchezza di Gela nell'antichità e la presenza di ricche e specializzate officine artigianali per la produzione di oggetti di particolare pregio.
Oltre ai lingotti, il mare ha restituito diversi reperti per la maggior parte integri che potrebbero far luce sull'epoca del naufragio della nave.
Fra i più significativi un exaleiptron (cothon) di importazione corinzia con decorazione geometrica databile dalla seconda metà alla fine del VI secolo a.C.
Di produzione attica è invece una kylix a vernice nera decorata da una fila di palmette intervallate da fiori di loto su motivo ad anelli concatenati della fine del VI-inizi V secolo a.C.
Alle officine di Corinto, che produsse e commerciò diffusamente in tutto il bacino del Mediterraneo i suoi prodotti, si può attribuire l'anfora a corpo globulare destinata a contenere vino o olio inquadrabile dal punto di vista cronologico tra la fine del VI-inzi del V secolo a.C.
Alla colonia focese di Massalia (Marsiglia), rinomata per la produzione del vino, è riconducibile un'altra anfora a corpo ovoidale databile alla fine del IV secolo a.C.
Si sono rinvenute, inoltre, altre due piccole anfore: una potrebbe essere inserita nell'ambito delle produzioni cosiddette corinzio-corciresi databili al III secolo a.C.; l'altra è probabilmente di produzione africana del IV secolo d.C.
Da sempre il mare di Gela, per la sua particolare posizione, ha restituito nelle stesse aree reperti di diverse epoche; pertanto, anche se la maggior parte degli oggetti può attribuirsi alla fine del VI-inizi del V secolo a.C., solo uno scavo sistematico potrà consentirci di avere una visione più puntuale dell'intero contesto e fornirci ulteriori preziose informazioni di grande importanza storico-commerciale per aggiornare la storia economica della Sicilia.
I primi ad individuare i preziosi reperti sono stati Francesco Cassarino e i volontari dell'Associazione “Mare Nostrum”; le indagini e il recupero coordinati dalla Soprintendenza del Mare sono stati effettuati con la collaborazione della Capitaneria di Porto di Gela, del nucleo sommozzatori della Guardia Costiera di Messina, del nucleo sommozzatori della Guardia di Finanza di Palermo e di Francesco Cassarino.
Alfonso Lo Cascio