Le pietre di Pantalica. Il giro di boa. L’isola senza ponte.
Entrarvi senza immergervisi completamente non è possibile. Il continente è alle spalle, i suoi problemi sono superati per ripresentarsi sotto altra forma. E una cesura col passato, un incontro con l’ignoto. L’unico che ci resta è la nostra reazione. Stupore, ineffabilità, nostalgia.
Terra matta. Senza re né regno. La trinacria è una suggestione artistica, una canzone profonda, un’espressione letteraria. La solitudine di un intellettuale nato e morto a Comiso. La semplicità di un cantautore innamorato delle sue colline. La consapevolezza di un grande ispanista palermitano. La calma di un giornalista con la voce roca.
Terra di rapina. Retablo. Porte aperte.
La sicilia accoglie lo straniero a braccia aperte. A volte stringendo troppo l’abbraccio, ma mai negandolo. Aperta alle incursioni del turista culturale, marino, solare. Al rientro dell’emigrato nostalgico. Al giudizio dell’attento osservatore, al sorriso del passante distratto.
Romanzo civile. A ciascuno il suo. Il giorno della civetta.
Un’isola che non c’è più. Forse non c’è mai stata. L’impegno civico, la lotta del siciliano troppo attaccato alle sue origini per ignorarle. Una terra di scrittori, magistrati, cittadini. Una terra di suggestioni, intuizioni, allusioni. Un dipinto con un grande albero bruciato, un tramonto dalle tinte sahariane. Figlia dei grandi filosofi greci, essa descrive la sua realtà, grida la sua vendetta, sventola la sua denuncia. Ma lo fa con discrezione, senza arroganza, senza supponenza. Perché sa che a comportarsi così sono già in tanti, troppi.
Una storia semplice, questa è la nostra Sicilia.
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