Siciliani navigatori verso l’ignoto. Quanti di noi fin dalla più tenera età sui banchi della scuola hanno fantasticato di viaggi avventurosi come quelli di Ulisse, il famoso protagonista dell’Odissea di Omero, navigazioni incerte verso destinazioni ignote, oltrepassando i confini del mondo conosciuto. Tra la fantasia di Omero e la realtà dei marinai siciliani dell’antichità in effetti possiamo immaginare davvero poca differenza. In tanti si sono cimentati cercando di attribuire ed identificare i luoghi omerici nella realtà, ipotesi fantasiose che si riferiscono alla presunta geografia del tempo in cui si suppone che le distanze fossero notevolmente inferiori rispetto a quelle attuali tra l’Africa e la Sicilia, determinate dalla fine dell’ultima era glaciale in cui il livello del mare era molto più basso e lo stretto tra la Tunisia e la Sardegna molto più stretto oltre il quale c’era l’ignoto. I navigatori siciliani del passato veleggiavano senza cartine, senza punti di riferimento, senza imbarcazioni sicure, affidandosi ad un gran coraggio, al puro istinto e ad una buona dose di fortuna. Numerose sono state le barche partite e mai giunte a destinazione, il mar Mediterraneo è disseminato di relitti di tutte le epoche, un museo archeologico naturale tutto da scoprire che in parte ha riconsegnato alla luce ed alla terraferma carichi di imbarcazioni naufragate, e che in parte sicuramente ancora custodisce nel buio e nel silenzio dei suoi abissi marini. Ma oltre alle testimonianze archeologiche materiali dell’esistenza di una navigazione commerciale nell’antichità, possiamo anche contare su qualche riferimento letterario (Le opere ed i giorni di Esiodo) in cui si denota una certa seppur sommaria conoscenza della navigazione. Nell’antichità il popolo siciliano in quanto isolano, ha sempre convissuto con la presenza del mare che è stato fonte di sostentamento e di ricchezza, ed il commercio marittimo è stato parte integrante della vita delle popolazioni costiere. Con le barche dell’epoca i marinai affrontavano difficoltà di navigazione enormi, viaggiando il più delle volte privi di punti di riferimento, e in condizioni di quasi sopravvivenza per scambiare i prodotti locali con materie prime quali ad esempio l’ossidiana particolarmente ricercata per la sua duttilità, presente nelle isole di origine vulcanica quali Pantelleria, Stromboli, Vulcano. Le prime rotte che possono essere definite commerciali risalgono già al neolitico come testimonia la presenza di una colonia a Cala Pisana sull’isola di Lampedusa. Questo insediamento archeologico ha un’importanza notevole ai fini della storia della navigazione commerciale dell’antichità perché testimonia il fatto che già nel neolitico si conoscevano sistemi più evoluti di quello della navigazione a vista da costa a costa, probabilmente già si utilizzavano rotte segnate da astri o da correnti ed altre cognizioni marinare che permettevano una percorrenza di tale difficoltà orientativa. Con molte isole del mediterraneo come Pantelleria, le isole Eolie, Malta, isole dell’Egeo, si crearono collegamenti stabili definendo delle vere e proprie rotte commerciali in cui avvenivano scambi di materie prime e manufatti, e nel tempo l’interscambio culturale migliorò anche la qualità della vita grazie all’introduzione di nuovi prodotti ed all’apprendimento di nuove tecniche. Il mare diventò un elemento di unione tra popoli e culture diverse, infatti nell’antichità non fu mai considerato un ostacolo bensì un valore aggiunto che ha permesso di agevolare l’evoluzione delle civiltà costiere rendendole più ricche e potenti.