Ci sono miti duri a morire, anche perché politicamente corretti e funzionali a giustificare certe mistificatorie operazioni storico culturali, come, ad esempio, quella del sito Unesco “Palermo arabo-normanna e le cattedrali di Cefalù e Monreale”.
L’abusata espressione di arte, architettura o epoca “arabo-normanna” riveste, infatti, il significato di contribuire a rafforzare la leggenda di una Palermo o di una Sicilia araba, esempio di pacifica convivenza tra etnie e religioni diverse, a cui i Normanni avrebbero guardato e a cui si sarebbero ispirati nella costruzione dei loro monumenti.
Alla base di questa credenza c’è il convincimento di un grande debito che il mondo occidentale dovrebbe all’Islam; ma già qualche anno fa, un libro di Sylvain Gouguenheim, docente di storia medievale all’Ecole Normale Supérieure di Lione (Aristote au mont Saint-Michel: les racines grecques de l’Europe chrétienne, ed. Seuil), ha ribaltato tutto: fu la presa di Costantinopoli, nel 1453, da parte dei turchi a far fuggire in Europa una valanga di intellettuali greci, che fecero conoscere i classici al mondo latino. Il saggio ha creato scalpore perché contesta l’idea che si debba moltissimo all’Islam, sostenendo che, invece, non gli si debba quasi niente. E ancora, il filosofo francese Rémi Brague, in un saggio tradotto da A. M. Brogiper («Vita e Pensiero», gennaio 2009), pur tentando di riequilibrare il giudizio del medievista, suo connazionale, finisce per ammettere che le arti visive (pittura e scultura) del mondo greco transitarono in Europa senza intermediazione araba, perché l’Islam vietava le immagini (anzi, l’eresia iconoclasta nel mondo bizantino fu dovuta al “contagio” della fortissima pressione islamica). Dice Brague che «dell’eredità greca è passato attraverso l’arabo solo ciò che riguardava il sapere in matematica, medicina, farmacopea, eccetera. In filosofia (…) solo Aristotele e i suoi commentatori». Ma tutto il resto dovette attendere i «manoscritti importati dagli eruditi bizantini che fuggivano dalla conquista turca». E «tutto il resto è nientemeno che la letteratura greca»: Omero, Esiodo, Pindaro, Eschilo, Sofocle, Euripide, Erodoto, Tucidide, Polibio, Epicuro, Platone, Plotino, Ermete Trismegisto, «arrivati da Costantinopoli alla Firenze dei Medici, dove Marsilio Ficino tradusse in latino tutte le loro opere». I passaggi precedenti non sono che «una goccia d’acqua» in confronto all’inondazione rovesciatasi sull’Europa a partire dal XV secolo.
Ma tornando alla Sicilia, e al rapporto tra Arabi e Normanni, va detto che una certa pace e la tolleranza nell’Isola si ebbero solo sotto i re normanni, dopo la dominazione araba che, invece, sottoponeva i cristiani al pagamento di una gravosa tassa, li escludeva dalla vita civile e spesso li costringeva alla forzata conversione all’Islam.
Il grande storico tedesco dell’Ottocento Ferdinand Gregorovius traccia un quadro convincente e fosco di quel periodo . Tranne la violenza e la rapina, non vide alcun “splendore” né testimonianza di pacifica convivenza nella dominazione musulmana che si accampò nel paese con alterigia e forza d’armi ed espropriò i siciliani dei loro beni, della loro cultura e della loro dignità. Qualcuno, egli dice, si convertì per pagare meno tasse e godere di qualche privilegio. Ciò che gli arabi lasciarono è documentato. Queste orde, venute dall’Africa annientarono le città di queste terre benedette portandone gli abitanti in schiavitù. E profeticamente conclude: «Storici italiani si compiacciono oggi giorno con una certa predilezione romantica del periodo arabo in Sicilia. Ma possiamo veramente dire che il dominio degli arabi laggiù fu diverso da quello dei selvaggi Stati africani? ».
Come ha scritto Donato Didonna, nel dicembre 2016, nessuno dei monumenti del percorso Unesco è stato realizzato durante la dominazione araba in Sicilia, ma solo un secolo dopo, una volta consolidatasi la dominazione normanna che ha voluto celebrare se stessa con opere che sintetizzassero, in un originalissimo stile architettonico ed artistico, le varie influenze culturali presenti nell’isola, a cominciare da quelle bizantine.
Insomma, molto di quello stile che comunemente viene detto “arabo” altro non è che l’elemento orientaleggiante dell’architettura bizantina, non a caso nata e cresciuta in medio oriente e segnatamente a Bisanzio.
Va sottolineato che gli arabi, popolo nomade per origine e per vocazione, vettori soprattutto di conoscenze pratiche, non espressero mai una loro originale architettura, ma recepirono le influenze mediorientali ed ellenistiche dei territori che, nella loro avanzata, andavano islamizzando.
Il risultato fu l’elaborazione di differenti sintesi architettoniche, legate alle diverse dinastie –Fatimidi, Ziridi, Aghlabidi, Abbassidi, Almoravidi – le quali, in Egitto, Magreb, Spagna, diedero vita a particolari tipologie stilistiche.
In Sicilia, durante il periodo normanno (secc. XI e XII), tali gamme vennero accostate, sincreticamente, agli stilemi bizantini e romanici, dando vita a quei capolavori che, più opportunamente, andrebbero dunque classificati come espressione dell’arte “siculo-normanna”, che sarebbe il nome corretto da attribuire al percorso Unesco, sfatando per sempre il mito dell’influenza di una Palermo araba, che contribuì a quei monumenti più per manovalanza artistica che per l’apporto di veri architetti.
Francesco Saverio Calcara
Foto di Francesco Alamia