Gli squali bianchi, i più grandi pesci predatori del pianeta, si nascondono ancora nel Canale di Sicilia, una delle ultime aree in cui sopravvive questa specie nel Mediterraneo. Diverse spedizioni scientifiche, condotte dal professor Francesco Ferretti della Virginia Tech, in collaborazione con l’Università Politecnica delle Marche e la Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli, hanno permesso di individuare le tracce di questi esemplari in un ambiente che sta diventando sempre più ostile.
Dal 2021 al 2023, il team ha svolto tre spedizioni focalizzandosi su possibili hotspot nel Canale di Sicilia. Utilizzando strumenti avanzati come l’analisi del Dna ambientale (eDna), i ricercatori sono riusciti a rilevare tracce genetiche degli squali nell’acqua. Sono state utilizzate anche telecamere subacquee e di superficie con esche per attirare gli squali, individuandoli in cinque occasioni. Nonostante gli sforzi, come ha spiegato Ferretti, gli squali bianchi sono risultati estremamente rari.
La presenza di questi squali è stata confermata in una zona al largo dell’Africa settentrionale, dove la pesca intensiva sta minacciando ulteriormente la specie. Ferretti ha sottolineato l’importanza di creare un programma ufficiale di monitoraggio e conservazione per gli squali bianchi nel Mediterraneo, vista l’assenza di iniziative strutturate al momento. Attualmente, il team sta raccogliendo fondi per future spedizioni e ulteriori studi sulla popolazione degli squali.
Secondo l’ecologo Taylor Chapple, che ha partecipato alla ricerca, l’ecologia degli squali bianchi nel Mediterraneo differisce notevolmente da quella delle altre popolazioni mondiali. A differenza degli esemplari californiani che si nutrono principalmente di foche, gli squali del Mediterraneo si cibano di tonni e pesci più piccoli. Questo aspetto contraddice le ipotesi precedenti, dimostrando come la specie possa crescere notevolmente pur avendo una dieta differente.