Macalda (o Machalda) di Scaletta era una nobildonna vissuta nella seconda metà del XIII secolo. A lei è collegata la famosa leggenda del Pozzo di Gammazita, sito entro le mura della città di Catania.
Ella nacque presso la rocca di Scaletta Zanclea, paese della provincia di Messina. Dama di compagnia, moglie del Gran Giustiziere del Regno di Sicilia Alaimo da Lentini, era una donna forte e coraggiosa, di indole cinica e ambiziosa; educata alle armi e agli scacchi, per cui costituì un insolito precedente nella Sicilia e nell’Italia dell’epoca, era soprattutto conosciuta per il suo essere di facili e dissoluti costumi. Le sue vicende si snodano e s’intrecciano durante il sanguinoso periodo dei Vespri Siciliani, alle corti prima degli angioini e poi degli aragonesi. Si dice che s’invaghì perdutamente del re Pietro III d’Aragona, e che fu la fautrice della caduta del marito, nonché della sua ascesa e della disfatta angioina a favore degli aragonesi. Machalda è diventata dunque, comprensibilmente, da un personaggio particolarmente emblematico e controverso della storia di Sicilia. Oggetto di diversi miti, storie e leggende; la sua figura sembra anche essere stata ripresa da Boccaccio nel suo “Decameron”.
Nata in una famiglia di umili origini, Macalda apprese subito l’arte ‘del farsi strada’, un talento che forse prese dal nonno, Matteo Selvaggio; l’intraprendente personaggio, approfittò infatti della morte dello storico custode del castello demaniale di Scaletta, per assumerne il controllo; proprio qui, si dice che il Selvaggio trovò un tesoro, che contribuì a migliorare il suo status, economico e sociale. Nuovi orizzonti vennero aperti così a suo figlio, Giovanni, che si avviò agli studi giuridici e che, proprio nel castello di Scaletta, prese in moglie una nobildonna siciliana appartenente al casato dei Cottone. Da qui inizia la vita di Macalda, che riuscirà ad inserirsi con successo presso la corte del Regno angioino prima e aragonese poi.
Informazioni sulla sua vita e le sue gesta, ci giungono a noi dal cronista coevo Bartolomeo di Neocastro, nella sua “Historia Sicula”, a lei particolarmente avverso, e dal catalano Bernat Desclot, a lei più favorevole. Tutte le fonti sono comunque d’accordo nel definire Macalda una grande guerreggiatrice, valorosa e abile con le armi.
Presa in moglie dal Guglielmo d’Amico, barone di Ficarra poi caduto in rovina, Macalda si ritrovò suo malgrado in una situazione che non era quella sperata: il marito purtroppo non riottenne il suo feudo, e così, una volta abbandonato presso l’Ospedale dei Templari dove trovò la morte, si dice si mise a vagare in abito talare, tra diverse zone site tra le province di Messina e di Napoli; è al periodo napoletano, in particolare, che le cronache del tempo fanno risalire la sua presunta relazione incestuosa con un suo parente.
Per volere di re Carlo I d’Angiò, successe l’insperato: una volta tornata a Messina, Macalda ottenne le terre e i privilegi tanto agognati dal marito, e, sempre per volere del Sovrano, si unì in matrimonio con Alamo Da Lentini. Fu proprio grazie a Macalda, che Alamo riuscì a rifarsi una reputazione in Sicilia, pur presso la decadente corte angioina: prima facendosi fautore dei Vespri, poi presso la corte aragonese.
Una volta che il marito fu partito in difesa della città di Catania, Macalda prese in mano le redini del governo della città, sostituendolo.
Nota a questo proposito fu il suo tradimento agli Angiò, che a lei richiesero aiuto: dopo averli accolti benevolentemente presso la sua corte infatti, Machalda li spogliò a tradimento di tutti i beni in loro possesso.
Quando Pietro III d’Aragona e la consorte Costanza di Hohenstaufen presero in mano le sorti dell’Isola, Macalda era già diventata parte della cerchia prediletta del re, insieme a suo marito, tanto che il suddetto Alaimo venne scelto dal Sovrano come Giustiziere, in pratica ‘il braccio destro’ del re, posto a supporto della reggenza della moglie Costanza e dell'infante Giacomo.
Fu questo il periodo in cui Macalda venne additata come l’impertinente quanto logorante rivale della regina, che ben si guardava dal frequentare. La donna mal sopportava l’atteggiamento benevolente della consorte di Pietro III, oppure era sopraffatta dai continui rifiuti dello stesso re. Da questo suddetto comportamento, nacquero diversi aneddoti che non fecero altro che confermare i suoi noti atteggiamenti di donna scellerata e inopportuna, che però le valsero, irrimediabilmente, la sua caduta in disgrazia e quella del suo consorte Alaimo.
La goccia che fece traboccare il vaso, fu il sospetto tradimento da parte di Alaimo alle spalle degli aragonesi, a favore, nuovamente, degli angioini. Per cui, a seguito dell’avvenimento, Macalda venne fatta prigioniera, con i suoi figli, nel castello di Messina, il 19 febbraio 1285; la sua morte è registrata in data 14 ottobre 1308.
A seguito della morte del re di Spagna, che ancora lo proteggeva, Alaimo non venne più risparmiato, e per ordine del figlio, Giacomo II, che mal lo sopportava, venne preso dal fratello maggiore Alfonso III in Spagna e, nel viaggio di ritorno in nave verso la Sicilia, venne gettato vivo in mare insieme ai nipoti, il 4 agosto del 1287.
Un'eco della figura di Macalda appare nella vicenda di Lisa Puccini, e del suo innamorato re Piero di Raona, nella novella narrata da Pampinea durante la decima giornata del “Decameron”.
Più fortuna, Machalda la ebbe nell’Ottocento; a lei vennero infatti dedicati componimenti di stampo nazionale e internazionale, come la pièce teatrale tedesca del 1877, scritta dal poeta Hermann Lingg e il dramma storico dello stesso, composto l’anno prima, dal titolo “Die Sizilianische Vesper”.
Al 1880, si deve la realizzazione di “Macalda”, melodramma per pianoforte del musicista veronese Angelo Bottagisio. Oltre alla leggenda del pozzo della Gamazzita, alle vicende della bella ed esperta cortigiana, furono dedicate le pagine 797-811 del libro “Le grandi amorose”, opera del 1889 di Italo Fiorentino, con illustrazioni di Gino de' Bini.
Autore | Enrica Bartalotta