Parliamo di antichi mestieri siciliani scomparsi. Quello della “lavannera” (la lavandaia) è il mestiere scomparso che ricordo meglio, perché quando a casa nostra è apparsa la prima rudimentale lavabiancheria , io ero già grandicella. Prima la biancheria sporca veniva ammucchiata in grandi ceste per delle settimane (tranne qualche indumento delicato che veniva fatto a parte), poi veniva chiamata la lavandaia.
Ricordo che quella che veniva a casa nostra si chiamava la “gnura Tina”. “Gnura” era un appellativo che si anteponeva al nome proprio delle donne di ceto umile. La “gnura Tina” arrivava la sera prima del giorno del bucato, predisponeva due grandi “pili”( tinozze per il bucato munite di una o due “balati”( assi per lavare la biancheria), insaponava i capi con il sapone molle e li lasciava “ammoddru” (in bagno) fino all’indomani mattina.
Il giorno dopo di mattina prestissimo faceva la “stricata”durante la quale i capi venivano stropicciati sulla “balata”, battuti e strizzati fino ad apparire perfettamente puliti, poi si facevano le “acque” (i risciacqui) uno, due, tre…finchè l’acqua restava limpida, ed infine il bucato , strizzato fino allo spasimo veniva steso nelle “curdini”, fili generalmente di metallo tesi da balcone a balcone che spesso attraversavano le stradine di paese.
Ah… dimenticavo… la “pila” aveva una specie di rubinetto nella parte inferiore da cui si faceva uscire l’acqua sporca che , ovviamente, veniva buttata sulla strada …ricordo ancora quei rivoli di acqua saponata che scorrevano nelle stradine in pendenza serpeggiando tra le pietre del selciato con grande rischio di scivoloni per la gente che passava.
Il conza ossa e lo scippa ganghi
Il “conza ossa” (aggiusta ossa), lo “scippa ganghi” (cava denti) e, perché no, quello che “appizzava li sanguetti”( attaccava le sanguisughe) possono essere considerati i progenitori dei moderni paramedici. Il primo veniva chiamato nei casi di slogature, dolori di vario genere e problemi vari a livello osseo-muscolare. Uno dei loro interventi tipici era” la “spilatura”, una specie di massaggio per “scrucchiari li rini”( rilassare, sbloccare la schiena).
Ma spesso i “conza ossa” si assumevano anche oneri più seri come fratture o lussazioni… infatti ricordo numerosi casi di ossa incollate male o di articolazioni irreparabilmente danneggiate tra i peresonaggi della mia infanzia. Purtroppo io non ho mai avuto occasione di vedere un “conza ossa” in azione, mentre , da piccolissima ho fatto parecchie volte da “assistente” alla “zia Piddra” la “scippa ganghi”. (“Zia e ziu” erano attributi che i bambini ed i più goovani anteponevano ai nomi propri delle persone degne di rispetto ma che non erano considerate all’altezza di essere chiamate “donna o don “).
La “zia Piddra” veniva spesso a curare la nonna. Ogni volta era sempre la stessa scena: arrivava a metà mattinata, posava la sua borsa sul tavolo del soggiorno ( a dire il vero non ricordo se si trattasse di una “vurza” (borsa) , una “beca” (sporta) o di una “truscia”( involto)…Poi sistemava una sedia in bella luce proprio nel mezzo della stanza, sotto il lampadario di Murano e vi faceva sedere la nonna.
Nel mentre l mamma portava il boccale e la bacinella di porcellana decorata pieni di acqua bollita. Allora la “zia Piddra” si lavava ed asciugava le mani, e mi chiamava: “ veni cca, beddra me… aiutami”(vieni, carina, aiutami) Io accorrevo , lei apriva la borsa e poggiava su un tovagliolo i suoi arnesi di lavoro , poi cominciava.
Mi sembra ancora di sentire la sua voce un po’ chioccia che chiedeva:: “lu cuttuni”( il cotone idrofilo), e io lo porgevo, “lu canuzzu”(la pinza) e ubbidivo prontamente, “tecchia d’acqua e sali”(un po’ d’acqua e sale) e così via… fino alla fine dell’operazione che generalmente terminava con l’estrazione di un molare che a me sembrava enorme.
Il signore che “appizzava li sanguetti” invece, io non l’ho mai visto al lavoro , e non so neppure se fosse chiamato con un vocabolo dialettale particolare, ma ricordo di avere spesso sentito parlare di amici e parenti che, soffrendo di capogiri o altri malesseri, si erano curati con un salasso facendosi applicare “li sanguetti” alle vene del braccio.
Di Angela Marino