Di Angela Marino
Parliamo di tradizioni di Sicilia, attraverso una delle figure più antiche: la mammana. Oggi si partorisce per lo più in ospedale, ma non è sempre stato così. Il reparto Ostetricia può essere considerato l’unico reparto”gioioso” delle cliniche e degli ospedali perché è l’unico in cui non si piange la malattia o la morte, ma si festeggia la vita.
Ma fino a 60,70 anni fa , e nei piccoli centri anche dopo, i bambini nascevano in casa.
Le mamme aggiungevano al corredo delle figlie grandi panni di lino e di cotone ed asciugamani candidi destinati proprio alle esigenze del parto casalingo. Il medico lo si chiamava solo in presenza di qualche problema ed in ospedale si andava solo in casi gravi.
In ogni comune operava una “mammana” che poteva vantarsi di aver aiutato a venire al mondo tutti i bambini e le bambine del luogo. Belli e brutti, ricchi e poveri. Presumo che venisse assegnata ad ogni sede dall’ufficio sanitario, un po’ come il medico condotto. Spesso si trattava di una persona proveniente da un altro comune.
Forse anche per questo, oltre che per il lavoro che svolgevano, le mammane erano spesso un po’ chiacchierate nell’ambiente paesano. Godevano comunque di un certo rispetto: si dava loro del “lei” e venivano chiamate “donna” o “signù” (signora).
Quelle che io ricordo nei parti dei miei fratelli dovevano aver frequentato qualche corso e si fregiavano del titolo di “levatrice”. Le più antiche, sicuramente, fondavano la loro preparazione solo sull’esperienza e sulla pratica tramandata da generazioni.
Mia madre raccontava sempre che io ero nata con due mammane. Arrivato il momento fatidico, quando mio padre era andato in tutta fretta a “prendere la mammana”, quella più giovane ed affidabile non era in casa. Lui aveva pensato bene di rivolgersi ad una più vecchia, ormai in pensione.
Mia madre raccontava sempre con emozione : “Quando ho visto arrivare quella vecchina tremante e malferma sulle gambe, tutta avvolta in un antico “sciarpuni” nero che copriva anche la “trusciteddra”(involto) con i ferri, mi siccà l’arma!”. (Traduco: “mi si è appassita l’anima”, cioè sono stata presa dallo sconforto).
La donna aveva subito preso in mano la situazione, ordinando alle donne di casa, acqua bollita, panni ed asciugamani ed un tavolo per stendervi sopra la partoriente, e poi alcool e cotone per il taglio dell’ombelico. Nel frattempo era sopraggiunta anche la mammana “in carica”, avvertita dai familiari.
Generalmente, nei parti, erano coadiuvate dalle parenti e vicine di casa sposate della partoriente , mentre le nubili restavano lontane dalla camera da letto , in cucina, a bollire pentoloni d’acqua o ad accudire agli altri bambini della famiglia.
Dopo la nascita la mammana continuava a venire per alcune mattine, per controllare le puerpere che restavano generalmente a letto per parecchi giorni ( era l’occasione buona per sfoggiare le lenzuola ricamate e le camice da notte eleganti del corredo).
Inoltre facevano i primi bagnetti al piccolo, gli medicavano il cordone ombelicale, e rifacevano la “nfasciatura”.
Appena nati infatti i bambini venivano “impacchettati” con panni e lunghe fasce facendone un fagottino scomodissimo da tenere e da accudire. Pare che così crescessero con la schiena e le gambe ben dritte.
Naturalmente la donna veniva sempre accolta con dolci , caffè ed altre leccornie casalinghe.
L’attività di queste donne è andata scomparendo pian piano prima nelle città sedi di ospedali, poi anche nei piccoli centri, soprattutto quando nei comuni cominciarono a funzionare i consultori ginecologici dove, naturalmente, veniva consigliato il parto in clinica. Ma fino ad una cinquantina di anni fa ed anche meno, molta gente optava per il parto casalingo.