Le tradizioni siciliane per la festa di Santa Lucia.
- Angela Marino condivide con noi i ricordi della sua infanzia.
- La Festa di Santa Lucia è un momento di gioia e condivisione.
- Ecco cosa rende il 13 dicembre così speciale in Sicilia.
Ricordo le feste di Santa Lucia della mia infanzia e soprattutto la preparazione della cuccia. Si cominciava giorni prima. Papà portava un sacchetto di frumento scelto: grosso, biondo…la mamma lu cirniva (setacciava) con un crivu d’occhi (setaccio rotondo a maglia larga, con fondo in rete metallica, adatto a cereali e legumi) per liberarlo da ogni impurità, poi lo poggiava su un panno bianco e lo circava (cercava, esaminava attentamente) per assicurarsi che non fossero rimaste pagliuzze o qualcuno di quei semini neri a forma di pallina che talvolta si mischiavano al grano, poi lo lavava e lo metteva a moddru, (a mollo) in acqua fredda che avrebbe cambiato mattina e sera.
Alcuni facevano durare l’ammollo per tre giorni, ma a casa mia si usava farlo solo per un giorno ed una notte. Il 12 dicembre, di primo pomeriggio, si metteva il grano a cuocere per parecchie ore aromatizzandolo con un bastoncino di cannella, mio padre amava aggiungere al grano anche un pugnetto di ceci. Dopo averlo fatto bollire per alcune ore, si spegneva il fuoco, si chiudeva bene la pentola e la si copriva con delle coperte di lana perché continuasse a stufare per tutta la notte.
Il 13 dicembre, giorno di Santa Lucia, mamma si alzava molto presto , apriva la pentola, si assicurava che la cuccia fosse cotta al punto giusto, versava una parte dell’acqua di cottura e scolava la maggior parte della cuccia in due grandi nsalateri( larghe ciotole in ceramica) per condirla, il resto la lasciava nella pentola così chi la preferiva semplice o nel latte al posto del pane o dei biscotti, poteva riscaldarla ed utilizzarla a proprio piacimento. La cuccia delle ciotole, infine veniva condita una parte con miele, cannella, canditi e scaglie di cioccolata amara( ed era quella che piaceva di più a noi bambini), l’altra con vino cotto (mosto a suo tempo fatto cuocere fino a ridurlo ad un terzo), la solita cioccolata amara ed i soliti canditi a dadetti.
La cuccia sarebbe servita come colazione, come dessert a pranzo e a cena , per regalarla a vicini e parenti e per darne una ciotolina ai bambini che di lì a poco sarebbero passati per la strada gridando: “La cuccia di Santa Lucia” ed avrebbero bussato a tutte le porte del vicinato.Solo qualcuno, i più anziani e i più devoti avrebbe rinunziato per tutto il giorno al pane, alla pasta ed a tutti i cibi che contenessero farina, nutrendosi praticamente di frutta e cuccia. Il pomeriggio del 13 dicembre o la Domenica successiva, la statua della Santa veniva portata in processione per le vie del paese seguita da tutta la popolazione… Questa è stata la mia “Santa Lucia” fino ai diciotto anni.
Poi sono venuta a studiare all’Università a Palermo e sono stata “aggredita” dalla magnificenza mistico-culinaria della S.Lucia palermitana.
Nella provincia di Palermo e anche in città, infatti, la devozione per Santa Lucia si può dire davvero universale: il 13 dicembre uomini donne, giovani e vecchi, ricchi e poveri rinunziano al pane, alla pasta ed ai farinacei.
La quasi totalità dei panifici sono chiusi o almeno non vendono pane, gente che non è mai andata in Chiesa, per Santa Lucia, non rinuncia a fare il suo fioretto e guarda scandalizzata qualche rara persona che addenta una merendina o un biscotto… Anche qui si fa la cuccìa, ma preparata come un dolce con crema di ricotta, di latte o alla cioccolata. Inoltre, fin dall’alba, chi ha la malaugurata idea di affacciarsi al balcone per prendere una boccata d’aria, resta fulminato dall’odore di olio fritto che incombe su tutta la città… A Palermo, infatti , il 13 dicembre , oltre ad essere la giornata della cuccia , è la giornata degli arancini, delle panelle, dei cazzilli (crocchette di patate), gattò (sformato di patate) e di tutte le ghiottonerie che, col passare degli anni, invece di scomparire si sono moltiplicate all’infinito. E il 14 dicembre, quando insegnavo, spesso avevo le classi semivuote per un’inspiegabile epidemia… di mal di pancia!
Testo di Angela Marino