Angela Marino ci racconta gli antichi giochi siciliani di una volta.
Il “parco giochi”dei bambini di tanti anni fa era la strada, che costituiva l’ambiente in cui essi trascorrevano la quasi totalità del loro tempo da quando cominciavano a muovere i primi passi, fino al raggiungimento dell’età lavorativa o, per pochi, della Scuola Secondaria.
L’affermarsi della Scuola Elementare Obbligatoria ha attenuato un po’ questo fenomeno, ma non lo ha debellato, anche perché la strada era lo sbocco più naturale e spontaneo per i figli della gente che abitava nei pianterreni e si riposava seduta sugli scalini di casa o suseggi (sulle sedie) sistemate davanti alla porta.
Anche i giocattoli di maggior successo erano perfettamente adeguati alla strada infatti, accanto a li carritteddra (carretti) e li machineddri (macchinine) in legno colorato, che i più piccini trascinavano con uno spago legato nella parte anteriore e potevano andare bene sia in casa che fuori, per i più grandi, furoreggiava la tortula (o cucuzzuni), cioè la trottola, che era qualcosa di assolutamente diverso dalle trottole che i nostri bambini trovano oggi nei negozi di giocattoli.
Si trattava di una sfera di legno massiccio da cui fuoriusciva una specie di chiodo su cui la tortula girava; alcune erano a forma di cono, ma quelle classiche erano le sferiche; per funzionare avevano bisogno di una lazzata cioè un pezzo di spago di media grossezza che veniva arrotolato sulla trottola partendo dalla punta.
I ragazzini tenevano in mano il capo dello spago e poi lanciavano con forza la trottola: lo spago, srotolandosi, imprimeva alla sfera un movimento rotatorio che poteva durare un bel po’. Con la tortula si facevano gare di durata, di precisione, si cercava di prenderla sul palmo della mano mentre ancora girava e di rimetterla a terra senza che si fermasse…Ci si giocava dappertutto: su uno scalino, sul marciapiede, su una balata (lastra) del selciato, sui maduna (lastre) della piazza…e , qualche volta, i ragazzini si “allenavano” anche in casa con gravi rischi per le belle piastrelle di “Valenza” e tanti rimproveri dai genitori.
Era un gioco da maschi, ma non lo disdegnavano neanche le bambine.
Per i bambini possedere una tortula era la norma da cui non si poteva derogare: ci giocavano per la strada mentre rincasavano dalla scuola, quando uscivano il pomeriggio, al “salone” dell’Azione Cattolica… praticamente sempre.
Un altro giocattolo a costo zero molto usato dai maschietti era luccippettu, generalmente autocostruito o approntato da qualche nonno compiacente. Si trattava di un bastoncino lungo una ventina di centimetri, più grosso al centro ed assottigliato alle estremità che veniva colpito da una di queste con un altro bastoncino e saltava arrivando anche a notevoli distanze, Anche questo era un gioco da maschi e praticabile solo all’aperto.
Sempre decisamente da maschi era la fileccia (fionda) spesso costruita con un rametto d’albero biforcuto ed una striscia di gomma elastica. Con essa i ragazzini tentavano anche di colpire gli uccellini sugli alberi o sulle grondaie e…le galline dei vicini che razzolavano per la strada.
Ma il gioco da maschi più fantastico era lu carruzzuni: un asse di legno montato su roti pallini (ruote a cuscinetti) con una fune o un bastone che fungevano da sterzo. Lu carruzzuni potrebbe considerarsi come l’antenato dello skateboard.
Ricordo ancora il rumore assordante che faceva sulle pietre del selciato specie in discesa…
E le bambine?
Beh, le bambine avevano le bambole: bellissime, elegantissime, con la faccia in porcellana, il corpo di stoffa rosa carne e gli occhi che si potevano chiudere… ma così fragili, delicate e costose che generalmente venivano adagiate come soprammobili sul lettone o sul divano del salotto e… vietate alle dirette interessate.
Così noi giocavamo con li pupi di pezza: buffi fantoccetti costruiti da nonne o zie.
Li pupi di pezza si potevano vestire e spogliare, portare ovunque senza pericolo di rompersi e potevano rivestire ruoli diversi a seconda del gioco che si organizzava. Spesso le padroncine davano loro un nome proprio che avrebbero conservato per sempre.
Altri giochi femminili erano: i mobili per le bambole, le batterie da cucina con le quali si fingeva di organizzare veri banchetti, e l’immancabile tulareddru (piccolo telaio) per imparare a ricamare in vista del corredo.
Quando andavamo in villeggiatura in campagna , tutti i maschietti ma anche qualche bambina possedevamo un giocattolo che consideravamo bellissimo: lu cavaddru di canna. Era un pezzo di canna raccolta sulle rive dei vaddruna (torrenti), ben seccato e pulito, con legato uno spago ad un’estremità. Quello era il nostro cavallo e spesso noi camminavamo o correvamo per i campi con questa canna tra le gambe impugnando le redini (lo spago) e incitandola a gran voce come sentivamo fare ai contadini con i cavalli veri.
Poi imitavamo tutte le cose che facevano le vere bestie da soma: il nostro cavallo, aveva un nome, trottava, galoppava, riposava nella stalla davanti alla mangiatoia piena di fieno o di paglia, beveva all’abbrivatura (abbeveratoio), lo legavamo ad un albero e ,la sera, andavamo dietro ai contadini che legavano le loro bestie da soma con lunghe corde ad una pietra o ad un cavigliuni (cavicchio infilzato nel terreno a cui si legano le bestie da soma) su un campo erboso perché potessero mangiare, muoversi e rilassarsi durante la notte, ed anche noi lasciavamo i nostri cavalli di canna legati ad una giaca (grosso ciottolo) per andare a riprenderli la mattina seguente.
Il gioco da strada per eccellenza, quello che tutti avremo sicuramente provato perché coinvolgeva maschi e femmine, ricchi e poveri, era la marreddra (gioco della campana o marrella).
Si disegnavano a terra con il gesso o con il carbone una serie di riquadri numerati tra cui alcuni doppi, una specie di T che terminava con un semicerchio (lu campanaru) e ci si giocava percorrendola saltellando su un piede solo . Ovviamente alla fine si facevano i conti dei punti di ogni percorso e si decretava il vincitore. Ma spesso si giocava solo per passatempo , magari per pochi minuti, senza né vincitori né vinti.
I giochi più tranquilli, più lunghi, e che non facevano distinzione di sesso erano quelli che si facevano senza bisogno di “attrezzi”: si giocava per delle ore a li cummari, a la putia, a la scola, a lu vattiu (alle comari/alle signore, alla bottega, alla scuola, al battesimo) accovacciati sui gradini di un portone o su uno slargo del marciapiedi…cercando di ricreare nella finzione del gioco, la realtà in cui ogni bambino viveva.
E infine arrivò la moda delle bici…ma era un giocattolo adatto ai ragazzini un po’ più grandi…