La musica, i canti e le danze popolari, sono sempre state e sono tuttora uno specchio fedele del contesto in cui si vive , e anche nella vecchia Sicilia questa regola non fa eccezione .
Le tarantelle e i balli in costume, ormai relegati a livello di manifestazioni folkloristiche, sono state per anni l’espressione più genuina e spontanea del popolo siciliano, delle sue speranze, delle sue gioie, dei suoi dolori.
I canti arabeggianti intonati dai contadini quando tornavano a tarda sera con le loro bestie ed i loro carri dopo una giornata di pesante lavoro narravano al mondo intero i loro sogni e le loro speranze:
”Affaccia beddra di lu finistruni,
“cu la scusa di lavariti li mani… = Affacciati bella al balcone con la “scusa di lavarti le mani…”;
o i loro successi e insuccessi:
“A quannu a quannu lu pupu ghi a ligna
“a cippu a cippu nni cugghì ‘na sarma…= Per una volta che
“il pupo andò a fare legna,un ramo dopo l’altro ne raccolse una “sarma” (unità di misura contadina)
“…pi la muntata si ruppi la cigna “curriti tutti ca lu pupu si danna” = ma nella salita si è rotta la cinghia…accorrete tutti ad aiutarlo perchè è disperato…”
Chiaramente la “beddra” della prima canzone è inequivocabilmente la donna amata, mentre l’espressione “pupu” della seconda, che letteralmente sarebbe il femminile di “pupa”= bambola, nel dialetto siciliano assume molti significati: può indicare una persona insicura, priva di carattere, incapace di prendere delle decisioni, poco degna di fiducia, ma anche un prestanome, un fantoccio, e infine, rivolto ad un bambino può significare che è bello come un bambolotto.
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Poi ci sono le filastrocche che con la loro apparente giocosità raccontano spesso grandi verità;
“Chiovi, chiovi, chiovi
“lu gattu fa li provi,
“”ncapu li casi di Margarita= piove,piove piove, il gatto, “prova per vedere se gli conviene o no uscire…e intanto il topo ne “approfitta per sposarsi senza correre alcun rischio sul tetto della casa di Margherita.”
Come dire che spesso una situazione negativa può aiutare i più deboli.
Ed ora una divertente filastrocca palermitana:” La me zita = la mia fidanzata”, che, con la sua scanzonata crudezza, ci riporta ai tempi dei matrimoni di convenienza organizzati a tavolino da parenti ed amici dei futuri sposi, in essa viene anche puntualizzato l’habitat della “zita”: Corso Pisani, una delle arterie del vecchio centro storico di Palermo, a due passi dal Palazzo Reale.
Eccone alcune strofe:
“Quant’è laria la me zita,
“tutta fradicia e purrita,
“ah laria è, cchiù laria d’idda nun ci nn’è
“Havi l’occhi a doppiu usu,
“unu apertu e l’atru chiusu,
“……………………………….
“havi li spaddri comu ‘na cascia
“una cchiù jata e l’atra cchiù vascia
“………………………………
“Havi la panza ca pari ‘na vutti,
“quannu camina fa arridiri a tutti,
“………………………………
“Havi li gammi di ferru filatu,
“quannu camina li jetta di latu,
“…………………………………………
“E quannu passa di Corsu Pisani
“l’assicutanu puru li cani
“………………………………
“Ma di picciuli n’havi assai,
“ca cummogghiunu tutti li guai,
“ah! bedda è,cchiù bedda’idda nun ci ‘nn’è
“= Quanto è brutta la mia fidanzata, tutta piena di acciacchi,
“ah! brutta è, più brutta di lei non ce n’è!
“Ha gli occhi a doppio uso, uno aperto e l'altro chiuso,
“Ha le spalle come una cassapanca una più alta e l’altra più bassa
“Ha la pancia che sembra una botte, quando cammina fa ridere tutti,
“Ha le gambe di fil di ferro, quando cammina le muove di lato,
“E quando passa da Corso Pisani la inseguono pure i cani
“…………………………………..
“Ma ha tanti soldi, che compensano di tutti i guai,
“ah! bella è, più bella di lei non ce n’è!”
Sempre nel centro storico di Palermo è ambientato quest’altro flash musicale sugli antichi usi e costumi della nostra terra:
“Lu ccappiddruzzu = il cappellino”
“Acchiavu un ccappiddruzzu ch’è beddru e sapuritu
“e quannu mi l’è mettiri: quannu mi fazzu zitu
“ Ho trovato un cappellino bello e carino
“ lo metterò quando mi fidanzerò,
“salgo per il Cassaro, Scendo per Via Bandiera
“e tutti mi salutano: buongiorno cavaliere!”
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Ecco, nei tempi in cui , chi non faceva parte dell’elite portava la “coppula”(tipico berretto del mondo contadino siciliano), basta un cappello per fare il salto di classe! E il fortunato che lo ha trovato ne approfitta cercando di far colpo e trovarsi una fidanzata sfoggiandolo nel salotto e nel centro commerciale della città.
Il Cassaro (oggi Corso Vittorio Emanuele ) prendeva il suo nome da “Al Qasr”= zona fortificata, cuore della Palermo araba, era considerato il centro elegante di Palermo dove i palermitani e le palermitane bene andavano a passeggiare.
Dal suo nome deriva il verbo siciliano”cassariarisi” = passeggiare, pavoneggiarsi.
Spesso anche adesso vengono chiamate “ cassaro” le strade addobbate con archi e bancarelle in occasione delle feste patronali in diversi comuni siciliani.
Via Bandiera, invece, collegata al Cassaro da strette viuzze, rappresentava e rappresenta tuttora la zona palermitana in cui si può trovare e comprare di tutto: una specie di medina nostrana.