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Sergio Castellitto arriva con Zorro – Un eremita sul marciapiede al Teatro Vittorio Emanuele di Messina dal 28 al 30 aprile.

Lo spettacolo, scritto e diretto da Margaret Mazzantini, vede Castellitto interpretare un vagabondo, un antieroe che riflette sul significato di una vita che lo ha portato, con le sue scelte, a vivere sulla strada. E ai margini della società, è capace di vedere la realtà osservando la vita delle persone comuni che vivono in uno stato di quotidiana normalità.

Castellitto, quindi, riporta sul palco lo spettacolo tratto da ‘Zorro. Un eremita sul marciapiede’, romanzo breve di Margaret Mazzantini (2004, Mondadori) di cui lui firma invece la regia.

L’attore romano è nei panni di un clochard che ripercorre la storia della sua vita e delle scelte che lo hanno portato a vivere sulla strada. Il dialogo interiore di un uomo ai margini della società, capace di vedere la realtà osservando la vita delle persone ‘normali’. Capace di restituire attraverso una sorta di ‘filosofare’ allegro e indifeso il ‘sale della vita’, la complessità e l’imprevedibilità dell’esistenza.

L’origine di Zorro e della conseguente messa in scena, lo racconta nelle note di spettacolo la scrittrice Mazzantini: ”Zorro mi ha aiutato a stanare un timore che da qualche parte appartiene a tutti – ha affermato la Mazzantini (che è anche la moglie di Castellitto) – perché dentro ognuno di noi, inconfessata, incappucciata, c’è questa estrema possibilità: perdere improvvisamente i fili, le zavorre che ci tengono ancorati al mondo regolare. Chi di noi in una notte di strozzatura d’anima, bavero alzato sotto un portico, non ha sentito verso quel corpo, quel sacco di fagotti con un uomo dentro, una possibilità di se stesso? I barboni sono randagi scappati dalle nostre case, odorano dei nostri armadi, puzzano di ciò che non hanno, ma anche di tutto ciò che ci manca”.

”Perché forse ci manca quell’andare silenzioso totalmente libero – ha proseguito la Mazzantini – quel deambulare perplesso, magari losco, eppure così naturale, così necessario, quel fottersene del tempo meteorologico e di quello irreversibile dell’orologio. Chi di noi non ha sentito il desiderio di accasciarsi per strada, come marionetta, gambe larghe sull’asfalto, testa reclinata sul guanciale di un muro? E lasciare al fiume il suo grande, impegnativo corso. Venirne fuori, venirne in pace”.