«L’arresto di Riina fu frutto di un compromesso vergognoso che certamente era noto ad alcuni ufficiali del Ros come Mori e De Donno, fu frutto di un progetto tenuto nascosto a quegli esponenti delle istituzioni e quei magistrati che credevano invece nella fermezza dell’azione dello Stato contro Cosa nostra». Prosegue il processo sulla trattativa Stato-mafia e, come riportato da La Sicilia, il pm Vittorio Teresi ripercorre con queste parole l’arresto di Totò Riina, nel 1993. Secondo quanto prospetta l’ipotesi accusatoria, il padrino venne consegnato ai carabinieri dall’ala di Cosa nostra vicina a Bernardo Provenzano.
Riina, con cui i militari del Ros imputati al processo avevano intavolato un dialogo finalizzato a far cessare le stragi, era ritenuto un «interlocutore» troppo intransigente. Perciò gli si sarebbe preferito Provenzano, fautore della linea della sommersione, e lontano dall’idea del «papello», l’ultimatum che Riina avrebbe presentato allo Stato tramite i carabinieri.
Provenzano dunque, dopo le stragi del ’92, sarebbe entrato in gioco e avrebbe consentito la cattura del compaesano con la complicità del Ros pretendendo, tra l’altro, che il covo del capomafia «venduto» non fosse perquisito. «Era chiaro che tutto questo doveva essere tenuto segreto – ha spiegato Teresi – E dopo la cattura di Riina e l’uscita di scena anche di Ciancimino le linee dell’accordo sono chiare e si passa ai fatti». «Così come per i carabinieri è fondamentale mantenere il segreto sulla cattura di Riina – ha aggiunto il magistrato – altrettanto è importante, per la mafia, che nulla trapeli sul fatto».